Nel giorno dei divorzi e delle spaccature, il Regno Unito ha deciso: non sarà

Sabato 25 Giugno 2016
Nel giorno dei divorzi e delle spaccature, il Regno Unito ha deciso: non sarà più parte dell'Unione europea. Con una maggioranza indiscutibile ma non schiacciante del 51,9% contro il 48,1%, i britannici hanno scelto di lasciare, “leave”, quella Ue di cui da sempre hanno sentito dire tutto e il contrario di tutto, a cui sono state ascritte colpe e nefandezze da una stampa popolare da sempre ostile e da una classe politica che spesso sull'euroscetticismo ha costruito intere carriere. Interrompendo così, dopo 43 anni, un rapporto difficile in cui si mischiano la nostalgia per il proprio passato imperiale, l'atavica diffidenza verso la Germania, l'ostilità verso l'idea di entrare a far parte di un club di cui non si è stati membri fondatori e quel senso di isolamento ed eccezionalità che viene dall'essere circondati dal mare.
Un voto il cui risultato è emerso lentamente e inesorabilmente insieme ad una divisione insanabile all'interno dell'elettorato tra anziani e giovani, poveri e ricchi, provinciali e cittadini. La storica suddivisione tra conservatori e laburisti è venuta quasi del tutto meno mentre ne è emersa una, altrettanto netta, di tipo generazionale: il 75% delle persone con meno di 24 anni che ha votato per l'Unione europea, a differenza del 56% degli under-50. Più si sale di età, più l'avversione nei confronti di Bruxelles è risultata forte e questo, unito ad un'affluenza dell'elettorato senior decisamente più alta di quella dei giovani - il solo festival musicale di Glastonbury, secondo alcuni calcoli, avrebbe determinato la perdita di circa 15mila voti di giovani pro-Ue – avrebbe avuto un forte impatto sul risultato finale.
Un vero e proprio furto di un futuro di apertura e scambi culturali operato da un elettorato disilluso che sente di non aver tratto nulla dalla globalizzazione e che vede nell'immigrazione unicamente una minaccia. «I nostri figli e nipoti continueranno ad avere un futuro fantastico da europei», ha rassicurato il capofila del fronte pro-Brexit Boris Johnson dopo che in mattinata molti cittadini lo avevano fischiato mentre usciva dalla sua casa di Londra, megalopoli cosmopolita di cui Johnson è stato sindaco e dove il “Remain” ha dominato, come previsto. Lo stesso è avvenuto anche in altre città come Oxford e Canterbury e in tutta la Scozia e l'Irlanda del Nord, mentre le roccaforti euroscettiche si sono confermate le città costiere e depresse dell'Essex e del Kent e le città operaie del Nord come Sunderland, Birmingham, Swansea, Swindon dove un tempo il Labour dominava incontrastato e dove il tiepido messaggio europeista del partito d'opposizione non ha fatto, evidentemente, alcuna presa.
Le campagne dell'Inghilterra si sono espresse quasi tutte a favore dell'uscita da un'Unione europea e quando ormai, nelle prime ore del mattino è apparso chiaro che il fronte euroscettico stava vincendo, il leader Ukip Nigel Farage, uomo indistruttibile già sopravvissuto nella sua vita ad un incidente aereo e ad un tumore e che un anno fa si era dovuto accontentare di un solo seggio a Westminster, ha suggerito di fare del 23 giugno il «Giorno dell'Indipendenza» del paese. Farage ha salutato «la vittoria della gente reale», della «onestà, della decenza e della fiducia nella Nazione», un risultato inaspettato sia dai sondaggi, che nella giornata di giovedì davano il fronte pro-Ue in vantaggio, sia dagli stessi elettori, molti dei quali ieri mattina raccontavano di essere un po' sbalorditi e preoccupati dal realizzarsi di una circostanza a cui nessuno sembrava aver creduto seriamente.
Secondo i sondaggisti l'indicatore di voto più attendibile di tutta la campagna non sarebbe stata né l'età, né la provenienza geografica, bensì il livello di studio e il possesso di un diploma di laurea: tra i laureati ha vinto quasi inevitabilmente il “Remain”. Come a voler contenere la portata vertiginosa del risultato elettorale, in tarda mattinata Johnson ha precisato che «nulla cambierà nel breve termine» e ha sottolineato che «il Regno Unito continuerà ad essere un grande paese europeo che guiderà le decisioni di politica estera». Ma intanto presto, dopo le dimissioni di David Cameron, si doterà di un nuovo primo ministro, di un nuovo leader dell'opposizione e dovrà imparare a convivere con una scelta a lungo vagheggiata. Ma d'altra parte, come dice un proverbio inglese, bisogna stare attenti ai propri sogni perché prima o poi potrebbero realizzarsi.
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