Munifer Karamaleski, il combattente per l'Islam partito dal bellunese per la Siria,

Mercoledì 3 Settembre 2014
Munifer Karamaleski, il combattente per l'Islam partito dal bellunese per la Siria,
Munifer Karamaleski, il combattente per l'Islam partito dal bellunese per la Siria, si è arruolato nelle fila dell'Isis, il sanguinario gruppo di fondamentalisti che sta seminando il terrore in Medio Oriente. La conferma della notizia anticipata ieri dal Gazzettino viene dalla sua stessa famiglia, che vive in Alpago, nel Bellunese, a Palughetto di Chies. Una scelta, quella di Munifer, fortemente osteggiata dal padre, un musulmano moderato, che, proprio per questo, dal momento in cui il figlio ha deciso di diventare un combattente islamico, gli ha tolto la parola, obbligando la madre a fare altrettanto.
Ciò che la famiglia non accetta è però anche la morte del 26enne combattente di Allah partito per la Siria nei mesi scorsi con l'amico Ismar Mesinovic, l'altro "martiere islamico" bellunese. Per i Karamaleski, Munifer è al fronte ma è ancora vivo. «Lo abbiamo sentito anche sabato scorso», dice la sorella Kara. «Ci chiama dalla Siria quando può via Skype». Le telefonate di Munifer sarebbero però stranamente silenziose, parla a monosillabi che la famiglia attribuisce a lui: «Noi gli chiediamo di tornare, ma senza avere risposte». Kara è comunque l'unica persona che può parlare con il fratello, perchè, come racconta lei stessa, «mio padre con Munifer non parla più e impedisce anche a mia madre di farlo. Quello che lui ha fatto non lo accettano. Ma a noi manca molto lo stesso, perché gli vogliamo bene».
Munifer Karamaleski, 26 anni, è macedone. Alla fine del 2013 ha preso tutte le sue cose e, con la moglie e i tre figli piccoli, è tornato in patria. Il filo rosso che lo lega a Ismar Mesinovic, l'imbianchino di Longarone morto il 4 gennaio nella battaglia di Aleppo, va oltre il semplice arruolamento dei due nell'esercito dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante. La presenza della moglie e dei figli di Munifer prima in Macedonia e successivamente - come sembra - in Siria, avvalora infatti la circostanza secondo la quale Mesinovic, prima di morire sul campo ad Aleppo, gli avrebbe affidato il piccolo Ismail David, 3 anni domani.
Non è facile raggiungere la casa dove i Karamaleski vivono da otto anni in Alpago, nella zona meridionale della provincia di Belluno. Bisogna prendere la strada per Chies e, passato Cornei, girare per Tambre. Palughetto è un piccolo gruppo di case, con una chiesetta. Intorno solo campi e boschi. Qualche decina di metri avanti, scendendo verso il torrente Borsoia, c'è un'altra frazioncina: Carpinetto.
Il silenzio lì è quasi assoluto. Si sente lo scorrere delle acque del fiumiciattolo, in basso. Poi i latrati di un cane. La casa dei Kamaleski ha un piccolo orto davanti. La mamma di Munifer, con i capelli raccolti in un foulard, raccoglie i peperoni e qualche rosa. In un italiano stentato parla di Munifer, il più grande dei suoi sei figli, e il volto le si apre in un sorriso. All'improvviso scoppia però in un pianto dirotto. Dalla casa esce una figlia. «Tu vai dentro e stai zitta», dice la ragazza alla madre. La donna obbedisce senza fiatare. Kara, capelli neri corti e sguardo duro, parla del fratello e dell'ultima telefonata. «Non è morto - ribadisce -. Noi gli abbiamo parlato sabato».
Il paese intanto osserva gli eventi in silenzio. Nessuno qui ama immischiarsi dei fatti altrui. Men che meno in quelli di gente che ha usi e costumi tanto diversi da quelli tradizionali. Della famiglia Karamaleski non c'è poi molto da dire. Il padre lavora. Mai un problema con i vicini. Le donne stanno chiuse in casa. Nessuno ha mai sospettato della passione jihadista di Munifer. Fino a quando non ha fatto i bagagli per combattere l'Occidente. Con l'arma più letale che esista: l'odio.
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