Mose, tangenti sui "cassoni": 5 indagati

Sabato 1 Ottobre 2016 di Nuovo filone: gonfiato il prezzo delle 8 maxi-strutture in cemento per creare riserve di denaro in nero
Cinque indagati nel prosieguo dell'inchiesta sulle presunte false fatture emesse dalle aziende impegnate nei lavori per la realizzazione del Mose. Nel mirino della Guardia di Finanza, coordinata dal pm Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, sono finiti gli otto "cassoni" di cemento affondati alla bocca di porto di Chioggia per sostenere le 18 paratie, il cui prezzo sarebbe stato "gonfiato" per accumulare ingenti riserve di denaro in nero, così come accaduto per i sassi da annegamento delle dighe.
Lo scorso 30 giugno le Fiamme Gialle hanno eseguito una serie di perquisizioni con conseguente sequestro di documentazione e ieri mattina, di fronte al Tribunale del riesame, era fissata l'udienza per discutere l'istanza di dissequestro presentata da due delle società interessate dal provvedimento, l'impresa romana Condotte, leader nazionale del settore delle costruzioni, e la cooperativa Clodia scarl. Entrambe, assistite dall'avvocato Luca Marafioti, hanno però rinunciato alla discussione: il ricorso, evidentemente, era finalizzato principalmente alla possibilità di visionare il materiale probatorio raccolto dalla pubblica accusa.
Il primo a parlare di come era stato "gonfiato" il prezzo dei "cassoni" di Chioggia - uno dei quali, peraltro, è "scoppiato" alcuni mesi fa a causa della pressione troppo alta del calcestruzzo - è stato Pio Savioli, all'epoca referente del Coveco, il consorzio delle cooperative venete all'interno del comitato direttivo del Consorzio Venezia Nuova, ora indagato in questo filone assieme all'ex responsabile di Condotte, Stefano Tomarelli, ad Andrea Boscolo Cucco e Stefano Boscolo Bacheto della cooperativa San Martino di Chioggia (tutti glà usciti con il patteggiamento dell'inchiesta principale) e Sandro Zerbin della cooperativa Clea di Campolongo Maggiore.
Fin dal 2014 Savioli aveva raccontato i retroscena della vicenda, spiegando innanzitutto chi doveva fare i lavori: Clodia (il soggetto costituito da Condotte e Coveco per occuparsi dei lavori a Chioggia) appaltò gli 8 cassoni a Mose 6 Srl, una società composta per l'80 per cento da Clea e per il 20 per cento dalla San Martino. Secondo contratto, il Magistrato alle acque si era impegnato a pagare ciascun cassone 16,5 milioni, a fronte di un costo vivo pari a circa metà (7,6 milioni di euro). Il costo fu però "gonfiato" - 500 mila euro per ciascun cassone - in modo da creare una riserva di "nero" da dividere: una metà a Mose 6 (per tasse e disturbo), l'altra spartita tra Tomarelli e lo stesso Savioli. Soldi utilizzati, a detta di quest'ultimo, anche per mazzette e finanziamenti illeciti ai partiti.
Le confessioni di Savioli, a cui si aggiunsero quelle di Boscolo Bacheto, sono state riprese in mano dal pm Ancilotto in un nuovo filone che punta soprattutto alle imprese, con l'obiettivo di far recuperare allo stato ancora qualche soldo, dopo gli oltre dieci milioni di euro già confiscati finora grazie i patteggiamenti di due anni fa.
La scorsa estate, durante del processo a carico degli ultimi otto imputati, tra cui l'ex ministro Altero Matteoli e l'ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, un avvocato difensore aveva chiesto informazioni su quelle false fatture, ma Savioli, chiamato a deporre come teste della Procura, dichiarò di non poter rispondere. Proprio per via della nuova inchiesta in corso.
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