In attesa che il referendum costituzionale ne decida la sorte, il Cnel prova a togliere

Domenica 31 Luglio 2016
In attesa che il referendum costituzionale ne decida la sorte, il Cnel prova a togliere il disturbo da solo. Alle dimissioni a cascata dei consiglieri si è aggiunto il passo indietro del presidente facente funzioni Salvatore Bosco. Caduta la testa dell'ultimo presidente, con 46 consiglieri dimessi su 65, quel che resta del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro è un ectoplasma privato di funzioni, prospettive, competenze e poteri. Un carrozzone allo sbando che però continua a costare ai contribuenti svariate decine di milioni di euro.
Diploma di perito commerciale, pensionato e sindacalista Uil, Bosco aveva preso il posto un anno fa di Antonio Marzano, ex ministro alle Attività produttive del governo Berlusconi. Nella lettera inviata al presidente della Repubblica, al premier e al segretario generale dell'ente, Bosco parla di motivi di salute. In realtà è stato costretto a farsi da parte al termine di un confronto burrascoso con gli altri consiglieri.
Ai tempi d'oro non si lesinavano incarichi, il lavoro si commissionava, una ricerca non si negava a nessuno o quasi. Poi le cose sono cambiate e ora la Corte dei conti ha rinviato a giudizio 15 dirigenti con l'accusa di aver comportato un danno erariale di 800 mila euro. Per il Cnel avviato su un binario morto sarebbe una fine ingloriosa.
Ai bei tempi, nonostante la pletora di specialisti di chiara fama, professori e consulenti nominati dal Quirinale e da Palazzo Chigi, quando c'era da commissionare una ricerca si ricorreva a vari istituti, molti dei quali legati a doppio filo con le sigle sindacali. Un po' all'uno, un po' altro per non far torto a nessuno. La storia è andata avanti finché la Corte dei Conti non ha deciso di vederci chiaro.
I casi presi in esame dai giudici contabili sono numerosi. Tra le accuse quella di aver commissionato ad un istituto molto vicino alla Caritas il rapporto annuale sull'immigrazione, un rapporto in tutto simile a quello elaborato dal ministero del Lavoro. Ed ecco appunto l'inchiesta sui presunti sprechi che ha prodotto 15 atti di citazione per altrettanti dirigenti chiamati a rimborsare l'erario di tasca propria. Un faldone di 220 pagine. Con dentro nomi di un certo calibro: l'ex ministro Marzano, chiamato a risarcire 131 mila euro; Michele Dau, capolista della lista civica che ha sostenuto la candidatura di Stefano Fassina in Campidoglio 195 mila euro; l'attuale presidente Salvatore Bosco, ragioniere, sindacalista Uil, 108 mila euro; Bernabò Bocca, imprenditore, 80 mila euro; Giuseppe Acocella, ex braccio destro di Savino Pezzotta (Cisl), 66 mila euro; Giorgio Alessandrini, uomo di fiducia di Raffaele Bonanni (Cisl) 42 mila euro.
Dal gennaio del 2015 a Villa Lubin il tempo si è fermato. L'assemblea, l'organo propulsivo, è stata convocata 12 volte ma solo 4 volte è stato raggiunto il numero legale. Nel 2016 le convocazioni sono state 6: tutte a vuoto. Per quanto i 52 dipendenti rimasti in organico possano ingegnarsi e darsi da fare per trovare uno straccio di pratica da portare avanti, è legittimo pensare che non ci sia molto da sudare. Il principe degli enti inutili ha un costo: 8,7 milioni l'anno: 6,5 per gli stipendi del personale, più le spese di gestione e manutenzione.
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