Il timore del Papa: «Troppi muri l'Europa rischia»

Lunedì 27 Giugno 2016
Emergenza Brexit. Il pensiero da tre giorni preoccupa Papa Bergoglio che intravede all'orizzonte un possibile rischio di balcanizzazione dell'Europa. Per certi versi ritiene che la guerra nel vecchio continente già ci sia. «Meglio costruire ponti che tirare su dei muri». Più conveniente per tutti. Papa Francesco torna dall'Armenia sognando un Europa più flessibile, maggiormente attenta al futuro dei giovani, alla vita delle persone.
Pensa che la Brexit possa portare alla disintegrazione europea e alla guerra?
«La guerra già c'è in Europa. Si sente aria di divisione. Non solo nell'Unione ma negli stessi Paesi che la compongono come Catalogna, Scozia. Queste divisioni non dico che siano pericolose ma dobbiamo studiarle bene prima di fare un passo avanti. Bisogna cercare soluzioni praticabili. Ci sono divisioni basate sull'indipendenza che si fanno per emanciparsi, è accaduto in passato in America Latina o in Africa. L'emancipazione è comprensibile. Diverso è il caso delle spinte secessioniste, pensiamo alla Scozia. Mi viene in mente la balcanizzazione. Per me l'unità è superiore al conflitto. La fratellanza è migliore dell'inimicizia. I ponti sono migliori dei muri. Questo momento ci deve fare riflettere. L'Europa deve ritrovare la forza che ha avuto nelle sue radici».
Lei sta lasciando il Caucaso, dove sono in corso guerre silenziose...
«Spero che il popolo armeno trovi giustizia e pace. Perché è un popolo coraggioso. La settimana scorsa quando ho visto una fotografia del presidente Putin con i due presidenti armeno e azero mi sono rallegrato: almeno si parlano, mi sono detto. Il presidente armeno, nel suo discorso di benvenuto, ha parlato della Turchia: ha avuto il coraggio di dire mettiamoci d'accordo perdoniamoci e guardiamo avanti».
Lei ha incoraggiato i giovani di essere autori della riconciliazione con la Turchia e l'Azerbaijan.
«Parlerò anche agli azeri, dirò loro ciò che ho visto. La verità, dirò quello che sento, incoraggerò anche loro. Ho già incontrato il Presidente azero. Anche a lui dirò che non fare la pace per un pezzettino di terra (il Nagorno Karabakh, nrd) è qualcosa di incomprensibile. Naturalmente l'ho detto anche agli armeni. Forse non si mettono d'accordo sulle modalità della pace, e su questo si deve lavorare».
Perché ha aggiunto al suo discorso la parola genocidio?
«In Argentina quando si parlava dello sterminio armeno, si usava sempre la parola genocidio. Non conoscevo altra definizione. Mi suona strano non usarla. Solo arrivando a Roma ho appreso il termine Grande Male o Metz Yeghern. Mi è stato spiegato che genocidio è una parola tecnica, che non è sinonimo di sterminio, perché dal punto di vista giuridico implica un'azione di riparazione. Anche Giovanni Paolo II l'ha usata, anzi ha usato tutte e due, Grande Male e genocidio. L'anno scorso non è caduta bene, la Turchia ha richiamato l'ambasciatore, che è un brav'uomo. Poi dopo tre mesi di digiuno ambasciatoriale (ognuno ha diritto alla protesta, lo abbiamo tutti) è tornato».
Lei ha accusato le potenze internazionali..
«Io ho sempre parlato dei tre genocidi del secolo scorso. Quello armeno, quello di Hitler e quello di Stalin. In Armenia ho detto che quando era in corso il genocidio armeno, esattamente come avvenne per gli altri due, le grandi potenze internazionali hanno rivolto lo sguardo altrove. Alcune potenze avevano le foto delle ferrovie che portavano ad Auschwitz; avevano la possibilità di bombardare e non lo hanno fatto. Nel contesto della prima guerra mondiale c'è stato il problema degli armeni, nel contesto della seconda guerra mondiale c'è stato il problema di Hitler. Per non dire di cosa è accaduto dopo Yalta. Insomma perché nessuno ne parla?».
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