Il Labour Party è di Jeremy Corbyn. Ci sono volute due primarie per stabilire

Domenica 25 Settembre 2016
Il Labour Party è di Jeremy Corbyn. Ci sono volute due primarie per stabilire che il sessantottenne dalle idee radicali che ha portato a una brusca virata a sinistra del principale partito di opposizione britannico ne è, almeno per ora, il leader incontrastato: il secondo voto, quello di ieri, ha visto Corbyn riportare un 61,8% contro il 38,2% dello sfidante Owen Smith, ed è andato addirittura a rafforzare, seppure leggermente, la sua posizione rispetto a quando il 12 settembre del 2015 vinse con il 59,5% dei voti. «Ripartiamo da zero, da oggi, e andiamo avanti con il lavoro che abbiamo da fare come partito, tutti insieme», ha dichiarato il leader poco dopo la sua riconferma, che giunge al termine di un anno difficile, con il Labour costantemente sull'orlo della spaccatura, e di un'estate infuocata, in cui alcuni deputati hanno tentato un “golpe” interno in seguito al risultato del referendum sulla Brexit, tema su cui Corbyn, fondamentalmente euroscettico, non ha praticamente fatto campagna sebbene il partito avesse una posizione pro-Ue.
Ma il “golpe” non ha funzionato e, sebbene a giugno 65 membri del governo ombra si fossero dimessi e ci fosse grande consenso tra gli esponenti della vecchia guardia del partito di dover agire contro la deriva radicale in corso, Owen Smith, deputato di Pontypridd che ha basato la sua campagna sul fatto di avere idee simili a quelle di Corbyn ma migliori capacità manageriali, non ha scaldato gli animi.
Con più di 600mila votanti disposti a pagare 25 sterline per scegliere il loro capo, il risultato delle primarie è incontrovertibile e dimostra come il Labour viva una spaccatura nettissima tra base e partito parlamentare, dove in 172 hanno votato una mozione di sfiducia contro Corbyn, esasperati dalle sue opinioni politiche giudicate fuori moda e incapaci, a detta loro, di portare il partito a Downing Street.
Ma la resistenza dimostrata dal vecchio deputato socialista, la sua capacità di incassare i colpi senza vacillare e il supporto trasversale che ottiene anche presso l'elettorato più giovane potrebbero riservare delle sorprese in uno scenario come quello britannico in cui l'impensabile è già avvenuto una volta con la decisione di uscire dalla Ue. «Farò tutto il possibile per ripagare la fiducia e il sostegno e unire il partito», ha spiegato Corbyn, mentre uno dei grandi vecchi del Labour, David Blunkett, ha sottolineato come le possibilità di una pace tra Corbyn e i deputati siano «minuscole».
Il numero due del Labour, Tom Watson, che ha agito come punto di riferimento della fronda, ha parlato di «un'estate molto dolorosa» e ha aggiunto: «Credo che si vada verso delle elezioni generali anticipate e che questo debba essere il nostro unico obiettivo: sconfiggere Theresa May e i Tories».
Anche Hilary Benn, figlio dell'ex leader socialista Tony e una delle figure di spicco dell'opposizione a Corbyn, tanto da essere stato cacciato dal governo ombra, ha parlato di «tempo di essere uniti», mentre da parte di Tony Blair, la figura intorno a cui il partito ha iniziato a spaccarsi, non ci sono stati commenti. Sebbene sia stato l'unico leader a portare il Labour al governo in quasi 40 anni, la visione pro-business di Blair e soprattutto la tragica avventura irachena al fianco degli Stati Uniti hanno reso la sua eredità ingestibile, ai limiti del tossico, presso l'elettorato laburista, che tende ad associare al blairismo ogni tentativo di innovazione.
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