Governo a caccia di 9 miliardi

Giovedì 29 Settembre 2016
Almeno 9 miliardi da trovare e l'incognita della trattativa con la commissione europea sulla quota di spesa pubblica - legata al terremoto nel centro-Italia e all'emergenza migranti - che potrà essere esclusa dai vincoli del Patto di Stabilità. Inviata in Parlamento la Nota di aggiornamento al Documento di economia e Finanza (Nadef) il governo guarda alle scadenze di ottobre. Scadenze che quest'anno, per effetto della nuovissima legge sulla contabilità pubblica entrata in vigore ad agosto, sono due. Entro il 15 ottobre, l'esecutivo dovrà mandare a Bruxelles il Documento programmatico di bilancio (in inglese draft budgetary plan) che delinea l'impianto della manovra secondo gli schemi previsti dai regolamenti europei. Per il 20 ottobre sarà poi la volta della legge di bilancio: provvedimento che unisce insieme - sempre da quest'anno - il bilancio vero e proprio con l'articolato della vecchia legge di Stabilità.
Dunque il ministero dell'Economia e Palazzo Chigi hanno a disposizione ancora una ventina di giorni per mettere a punto la propria strategia nel dettaglio. Nella nota di aggiornamento al Def, che ieri è stata consegnata alla Camera, viene disegnato uno scenario in cui la minor crescita per il 2017 dovrà essere almeno in parte compensata dalle misure di spinta alla produttività e agli investimenti. Un impegno ambizioso, che poi dovrà proseguire negli anni seguenti, nei quali la crescita è prevista attestarsi ad un livello superiore all'1 per cento. Proprio su questo scenario sono arrivate osservazioni anche critiche dall'Ufficio parlamentare di bilancio, incaricato per legge di validare in modo indipendente le previsioni governative: c'è il via libera per quanto riguarda il periodo 2016-17, mentre sono ritenute a rischio le stime per il biennio successivo.
Con un disavanzo tendenziale che per il prossimo anno è indicato all'1,6 per cento del Pil e la necessità di disinnescare 15 miliardi di clausole di salvaguardia (0,9 per cento) l'importo da trovare per riportare il disavanzo al 2 è pari allo 0,5 per cento del prodotto, ovvero 8-9 miliardi. Resta da precisare l'entità degli altri interventi di stimolo all'economia, mentre andrà confermata la possibilità di fare spesa aggiuntiva per un importo pari allo 0,4 per cento del Pil per fronteggiare la ricostruzione delle zone terremotate e continuare ad affrontare l'emergenza immigrati. Tra l'altro questi ultimi interventi non sono stati inclusi nelle stime di crescita tendenziale e dunque alla fine, secondo il governo, l'economia potrebbe crescere un po' più di quanto previsto.
Tra gli interventi da attuare ci saranno sia maggiori entrate che minori uscite. Le prime però non potranno consistere in veri e propri aumenti di imposta, ripetutamente esclusi dal governo. Ecco quindi che nel menu provvisorio rientrano la riapertura della voluntary disclosure (il rientro dei capitali dietro pagamento delle imposte dovute ma non di sanzioni), l'aumento del gettito Iva legato ad una revisione del sistema delle dichiarazioni (raccomandata anche da Ocse e Fmi), ulteriori misure per il mondo dei giochi e - probabilmente - una minima potatura delle varie agevolazioni esistenti. Queste ultime risorse dovrebbero servire a finanziarie altri sgravi per i contribuenti, ma il loro utilizzo resta in dubbio perché si tratta comunque di misure che possono essere interpretate come un inasprimento del prelievo fiscale. Sulla nuova fase della lotta all'evasione fiscale si è soffermato lo stesso ministro Padoan. La nuova strategia, spiega il ministro, «privilegia attività in grado di incentivare l'assolvimento degli obblighi tributari e favorire l'emersione spontanea delle basi imponibili rispetto ai tradizionali interventi di controllo e accertamento ex-post».
Sul lato della spesa, la parola d'ordine è naturalmente portare avanti la spending review in particolare per quel che riguarda la riduzione delle centrali di acquisto: un lavoro già iniziato che può dare risultati nel medio periodo. Come già successo in passato però si pone il problema di assicurare risorse certe anche nell'immediato. Questo potrebbe voler dire, ad esempio, che il Fondo sanitario nazionale dovrà rinunciare per il 2017 ad uno dei due miliardi di aumenti previsti: il livello di finanziamento si fermerebbe a 112 miliardi invece dei 113 concordati con le Regioni.
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