Flessibilità più larga nel mirino di Renzi

Mercoledì 29 Giugno 2016 di Chiamato da Merkel al vertice con Hollande il premier italiano punta a cambiare le regole
Matteo Renzi si gode la rivincita. Ora che tutti lo vengono a cercare chiedendogli “che si fa ora?”, è facile tornare con la memoria a due anni fa quando “chiedevo flessibilità e tutti mi guardavano come un marziano”. Allora il Rottamatore aveva appena vinto le elezioni europee e portato a Bruxelles un numero di eurodeputati mai visto nel gruppo del Pse al quale aveva aderito pochi giorni prima del voto. L'aveva capito, insieme a pochi, che così l'Europa non avrebbe retto alle spinte nazionaliste, all'euro scetticismo montante anche nei paesi che la fondarono, alla interpretazione dell'Europa a là carte dei paesi dell'ex cortina di ferro.
Ora che Bruxelles, Parigi e Berlino non si rivolgono all'Italia per sapere se ha fatto i compiti a casa ma se ha idee e proposte, il presidente del Consiglio risponde parlando di giovani, occupazione e crescita. Sperare che i tedeschi, Merkel in testa, possano ammettere di aver sbagliato nei dieci anni precedenti, è esercizio inutile. Anche perché la Merkel considera l'Europa come cosa propria e, ferma nel mezzo del campo, distribuisce palloni ora a Cameron, ora a Juncker, ora a Hollande. Da qualche tempo di palloni ne arrivano anche a Roma.
Al vertice di ieri l'altro a Berlino l'Italia non ha chiesto di esserci, semplicemente è stata chiamata perché, come si sostiene da tempo a Palazzo Chigi, “abbiamo fatto le riforme che hanno dato stabilità al Paese che ha un governo che è il quarto per durata della storia repubblicana”.
Credibilità ritrovata, per l'Italia, grazie al pacchetto di riforme votate dal Parlamento, jobs act, in testa, ma anche per la riforma costituzionale votata per sei volte dall'Aula e attesa ad ottobre da un referendum che il Financial Times ha di fatto paragonato, per pericolosità, a quello inglese sulla Brexit.
Renzi, arrivato a Bruxelles, di prima mattina per partecipare alla riunione del gruppo socialista, ha più volte sottolineato l'importanza dell'appuntamento di ottobre beccandosi anche l'accusa di “eccessiva personalizzazione”.
Ora che ha smesso di sottolineare che le sorti del suo governo sono legate al referendum costituzionale, si guarda bene dal sostenere che è l'Europa che ce lo chiede. D'altra parte il referendum italiano è frutto di un obbligo costituzionale e non di una scelta politica. Cameron lo ha indetto per regolare i conti nel suo partito, mentre in Italia è un atto dovuto rispetto ad una riforma che semplifica il processo legislativo e abbatte i costi della politica. Se per i detrattori della riforma è difficile imbracciare il vessillo del “no” anti-casta, per i sostenitori si tratta di avviare un confronto nel merito più che legarlo ai destini personali di un leader.
Si naviga a vista qui a Bruxelles perché “si tratta di una situazione inedita”, sostiene Renzi che rassicura i risparmiatori e giudica “normale” la fluttuazione di mercati. Niente panico, quindi ma fermezza con il Regno Unito che deve formalizzare la richiesta di uscita decretata dal risultato del referendum anche perché non può permettersi di ignorare il responso della conciliazione. Avviare la procedura per concentrarsi su temi che più interessano i cittadini nella consapevolezza che a fine anno nessuno avrà la forza e la voglia di questionare su uno zero virgola in più. Occasione irripetibile per l'Italia. Spuntare più flessibilità per tagliare le tasse o per avviare un pacchetto di investimenti senza precedenti. Le idee non mancano. Approfittare della Brexit cercando di spostare in Italia agenzie e aziende a Milano, nell'area dell'Expo, o a Bagnoli, realizzando due zone “no tax area” che siano in grado di diventare competitive con Irlanda e Olanda.
Stavolta “l'Italia c'è”, ripete Renzi, e se ad ottobre passerà il referendum costituzionale sarà “un passo gigantesco”.
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