Era davanti al tribunale di Amman, dove stava andando per difendersi dall'accusa

Lunedì 26 Settembre 2016
Era davanti al tribunale di Amman, dove stava andando per difendersi dall'accusa di oltraggio alla religione per aver cndiviso su Facebook una vignetta non sua, ritenuta irriguardosa nei confronti dell'Islam. Nahed Hattar, 56 anni, scrittore e giornalista giordano, ieri mattina stava ancora ai piedi della scalinata del palazzo di giustizia quando un uomo armato di pistola, vestito della tunica grigia dei sunniti più conservatori, lo ha colpito a distanza ravvicinata con tre colpi. Uno, fatale, alla testa. Hattar, che era accompagnato da due fratelli e un amico, è stato soccorso, ma è morto nell'ambulanza che lo stava trasportando in ospedale. L'assassino sarebbe stato catturato, proprio dai fratelli di Hattar, che lo hanno inseguito per le strade della capitale della Giordania, bloccato e consegnato alla polizia: è un imam ortodosso di 49 anni, anche lui giordano, predicatore in una moschea nel quartiere più povero di Amman.
Hattar, uomo di sinistra, è uno scrittore che la stampa internazionale definisce «controverso». Perché sostenitore del dittatore siriano Bashar al Assad e perché più volte avrebbe assunto posizioni provocatorie. Ma postando la vignetta - della quale non si conosce l'autore - le sue intenzioni non erano irridere Allah, bensì - come il titolo della stessa vignetta lasciava capire: “Il Dio dell'Isis” - prendere di mira la concezione religiosa dello Stato islamico. E infatti la vignetta raffigurava una divinità servizievole nei confronti di un arrogante Abu Saleh, uno dei capi dell'Isis, ucciso quasi un anno fa da un raid americano e quindi ormai in paradiso.
La vignetta era stata semplicemente condivisa su Facebook, e questo gesto così frequente nel mondo per la prima volta viene punito con la morte. Molti musulmani si erano ritenuti offesi, e in Giordania (dove la religione islamica è religione di Stato) la questione è diventata un problema anche politico. Il 12 agosto Hattar ha postato la vignetta, il giorno stesso è stato spiccato nei suoi confronti un mandato di cattura; il giorno dopo si è presentato lui stesso alla polizia, e arrestato per essere poi rinviato a giudizio e rilasciato in attesa del processo. Accusato di oltraggio alla religione, ma anche di razzismo e settarismo. La Giordania è una monarchia (e il precedente re Hussein era stato accusato da Hattar di averlo perseguitato per le sue opere) ma la famiglia dello scrittore, in un comunicato dopo la sua morte, ha apertamente indicato come responsabile morale il primo ministro giordano, Hani al Mulki. Questo perché il governo - è la tesi della famiglia - non ha fatto nulla per difenderlo, nonostante molti fanatici avessero scritto sui social media chiedendo il linciaggio di Hattar. Lo scrittore era stato definito «cristiano» dai suoi oppositori, e la sua replica era stata secca: «Non sono credente». Aveva aggiunto, sempre sulla bacheca di Facebook, di voler rispettare «i fedeli che non comprendono la satira dietro la vignetta». Ma allo stesso tempo aveva accusato i suoi avversari politici di usare questa vicenda come pretesto per colpirlo. In questo scenario eufemisticamente complicato, i Fratelli musulmani, primo partito in Giordania, avevano chiesto leggi esemplari contro chi colpisce l'unità nazionale come secondo loro aveva fatto Hattar. Il quale veniva nel frattempo abbandonato dal suo legale di sempre, l'avvocato Faisal al Batayneh, che lo aveva difeso nei tanti processi di opinione. Questi, pur definendo le nuove accuse deboli e destinate a cadere, aveva rinunciato all'incarico per dichiarate ragioni religiose.
Ora il governo della Giordania parla di «crimine atroce» e promette di agire con «pugno di ferro» contro chi proverà a speculare su questa vicenda per dividere il Paese. Il timore è di un inferno che finora è rimasto appena fuori dai confini.
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