È durato due minuti. Che ad alcuni sono sembrati dieci secondi: «E dopo

Giovedì 25 Agosto 2016
È durato due minuti. Che ad alcuni sono sembrati dieci secondi: «E dopo non c'era più niente». Ad altri sono parsi interminabili. Il brusco risveglio, i mobili che ballano, la corsa nella stanza dei bambini, la discesa frenetica delle scale, la porta che non si apre, le urla, il fumo, la corsa lontano dagli edifici mentre tutto ancora trema. «E dopo non c'era più niente». Pescara del Tronto non esiste più, i centri storici di Amatrice e di Accumoli non esistono più. Sono giganteschi sarcofaghi che nascondono decine e decine di morti. Il terremoto ha nuovamente colpito in quel crocevia di regioni – Lazio, Marche, Abruzzo, Umbria - che è la zona più fragile d'Italia, la più esposta alla ferocia della terra che all'improvviso si mette a tremare. Si fanno paragoni col sisma dell'Aquila, o con quello di Assisi. Tempo perso. E' stato, anche questa volta, un terremoto devastante, e tanto basta. Ci vorranno giorni per capire quante sono le vittime, quanti i feriti, quali i danni, quali le possibilità di rinascita sotto questa montagna di macerie.
TRAGICA CONTA - A mezzogiorno dicono che i “morti ufficiali” sono una quarantina, nel pomeriggio diventano centoventi, quando scende la notte sono centosessanta. E nessuno sa dire quando questa escalation di numeri si fermerà. Di certo si sa che fra le vittime ci sono anche molti bambini. I paesi più colpiti sono tre, tutti lungo la via Salaria: Amatrice e Accumoli sul versante rietino, Arquata del Tronto sul versante ascolano. Poi ci sono decine di frazioni (ad Amatrice sono una settantina, ad Arquata tredici) dove i danni sono ugualmente devastanti. Pescara del Tronto è letteralmente cancellata. Nei mesi freddi abitano meno di cinquemila persona nei tre paesi più colpiti. Ma d'estate diventano dieci volte tanti. Arrivano i parenti dalle grandi città, arrivano i villeggianti e quelli che hanno comperato una casetta con l'intenzione di farla diventare il proprio buen retiro. Arrivano i frequentatori di sagre paesane. Per questo i vigili del fuoco che scavano dalla notte non possono sapere se là sotto c'è ancora qualcuno.
SALVATAGGI - Il carabiniere Mario Mannini riemerge da una nuvola di polvere grigia. È arrivato nella piccola frazione di Grisciano alle sei del mattino, ha scavato per sette ore. Racconta di Ersilia, che hanno tirato fuori viva. E poi racconta del marito, Giulio: «Gli abbiamo parlato, lui imprecava, bestemmiava, era vivo e cosciente e noi eravamo certi di farcela». E ce l'hanno fatta. «Solo che quando l'abbiamo tirato fuori ci è morto fra le braccia per un arresto cardiaco».
L'ORA X - Il terremoto fa paura quando arriva, ma è dopo che la paura diventa una morsa. I sismografi danno l'ora esatta della prima scossa: le 3.36 del mattino, epicentro poco distante da Accumoli, sesto grado della scala Richter. Ma da quel momento in poi le scosse si accavallano – più di duecento fino a sera – e restituiscono l'impressione insopportabile di una mattanza che non finirà più. Le “repliche” (così i tecnici chiamano le scosse di assestamento) seminano panico, gente che scappa, bambini che urlano, i soccorritori che per prudenza sospendono le ricerche, le ringhiere che tremano, qualche muro pericolante che viene giù. Salendo da Ascoli Piceno lungo la via Salaria è Arquata del Tronto il primo comune di questa valle della morte. Il castello che incombe sul paese ha perso i merletti, ma è rimasto in piedi. Almeno cinque case del centro storico si sono afflosciate come fossero di carta, tutte le altre sono martoriate da crepe gigantesche, inagibili. C'è un silenzio spaventoso. Si sentono soltanto i passi dei soccorritori e il respiro affannato dei cani cerca persone. Alessandro Petrucci è il sindaco. Il ministro Graziano Delerio, arrivato il elicottero col capo della Protezione Civile, lo abbraccia: «Tenete duro». Nel campo da calcio hanno montato due tende che fanno da infermeria. Il sindaco non sa da che parte voltarsi, non sa nemmeno quanti sono i morti da piangere: «Qui ad Arquata sono quattro, e c'è anche un bambino che aveva appena diciotto mesi. Ma il vero disastro è nelle altre frazioni».
LA CARNEFICINA - Pescara del Tronto ha 167 abitanti, ma in questo agosto erano almeno cinque volte di più. Dall'alto non si vede più il paese, solo una immensa montagna di sassi, mattoni di tufo, tegole in frantumi, travi spezzate, auto accartocciate, scheletri di case senza pareti. In un piccolo praticello sono al lavoro i medici legali, quindici cadaveri sono stesi sull'erba. Su ogni cadavere un telo bianco, e su ogni telo il nome scritto con un pennarello: Amelia Pala, Alberto Reitano, Luana Masciarelli. Irma Cafini è catalogata col numero 16.
L'EPICENTRO - Altri dieci chilometri e la Salaria porta al bivio per Accumoli. Ottocento metri di altezza, meno di mille abitanti. Proprio qua sotto, a quattro chilometri di profondità, è stato localizzato l'epicentro della scossa delle 3.36. Adesso è un paese semidistrutto e nelle vie più antiche non entra nessuno. Anche perché non ci sono più le vie, è tutto crollato: il Municipio, gli altri edifici pubblici, la chiesa, le abitazioni private. Ma almeno qui dopo l'imbrunire arriva una buona notizia: dispersi non ce ne sono più.
LA PAURA - Giù a valle si allestiscono le tendopoli per la notte, la Protezione Civile prepara pasti caldi. Ad Amatrice il rumore assordante dei camion che trasportano escavatrici e pale meccaniche copre ogni voce. Si scava, si continua a scavare in questo che è certamente il più grande e il più affollato dei paesi violentati dal sisma. Via Roma era la strada principale e dove c'erano negozi, e banche e locali non c'è più nulla. Il campanile è pericolante. Sono quasi ottanta le persone estratte senza vita dalle macerie di Amatrice, e non è finita. Verso sera si sparge la voce che all'Hotel Roma vi fossero almeno settanta ospiti di cui adesso non si hanno notizie. L'Hotel Roma era un vanto per i paesani, «il primo posto in cui venne cucinata la pasta all'amatriciana». Forse è solo una leggenda, ma era una bella leggenda soprattutto se si pensa che da oggi in poi l'albergo verrà ricordato per essere diventato, in una notte di fine agosto, una gigantesca pietra sepolcrale.
SENZA PAROLE - Prima di sera arriva anche Matteo Renzi ad Amatrice: «Non è il caso di dire nulla». Parlerà più tardi a Rieti, in Prefettura: «La nostra credibilità e il nostro onore dipenderanno dalla nostra capacità di ricostruire in fretta e bene». Ma questo riguarda il futuro. Il presente è monopolizzato da una ricerca spasmodica di qualcuno che possa essere ancora vivo, da emergenze negli ospedali di Rieti, di Ascoli, di San Benedetto del Tronto, di Ancona (più di duecento i feriti), dalla paura di chi magari potrebbe rientrare in casa perché i tecnici dicono che «non ci sono pericoli». Ma il senso di pericolo è nell'anima, e non se ne va via.
© riproduzione riservata

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci