Ci sono almeno tre buone ragioni per non liquidare come semplice "zona grigia"

Giovedì 28 Luglio 2016
Ci sono almeno tre buone ragioni per non liquidare come semplice “zona grigia” l'ambiente – in provincia di Vicenza – dove effettuava opera di proselitismo l'imam Mohammed Madad, allontanato dall'Italia per un periodo di durata sorprendentemente lunga. Non tanto il fatto che egli abbia dato a una delle figlie il nome di Jihad, incarnando così in lei la propria pulsione verso la guerra santa, quanto le caratteristiche della sua predicazione e l'approccio con i fedeli, così come sono state contestate dal ministro Alfano e corroborate dalle indagini della Digos di Vicenza e Reggio Emilia, anche se l'interessato e il suo difensore contestano vigorosamente tali conclusioni.
L'imam di Noventa, nel Nordest dove la scoperta di estremismi islamici non è recente, sembra costituire una figura emblematica, perchè posta allo snodo cruciale di un sistema ideologico intrecciato con la religione che semina fondamentalismo e predica lo scontro di civiltà. Con il risultato che a volte, come drammaticamente dimostra la cronaca di questi giorni in Europa, i frutti sono gesti di terrorismo dalle conseguenze letali. La prima ragione è costituita dal ruolo che questo ex operaio, macellaio islamico mancato, rivestiva nella sua comunità di riferimento. Inizialmente nel Reggiano, poi nel Vicentino. Era l'autorità religiosa, un leader riconosciuto, una figura importante, cui spettava il compito di veicolare valori e interpretazioni, parole e azioni. Lo faceva pubblicamente, stando ad un paio di post su Facebook e alla sua predicazione nel centro religioso”Asonne”. Ma questa non è un'attenuante.
La seconda ragione è costituita dal fatto che egli si rivolgesse innanzitutto agli adulti, i fedeli, i frequentatori della moschea. “Io non so se il governo italiano abbia notizie riservate coperte dal segreto di Stato, ma il decreto di espulsione emesso dal ministro è assolutamente infondato – ha commentato ieri l'avvocato Mario Faggionato - perché non vi è una contestazione di alcuna condotta specifica che possa giustificare un suo allontanamento dall'Italia. Madad era da 25 anni in Italia e non aveva un precedente penale”. Sarà anche vero, ma è proprio nei centri religiosi che fede e legalità si possono confondere con l'esaltazione e il fanatismo.
Ma c'è un terzo livello che il lavoro investigativo della Digos ha portato alla luce. Innanzitutto il rigore assoluto nell'educazione dei figli, con forme di violenza e di privazione della libertà (venivano legati e chiusi in casa) per punire il mancato rispetto dei comportamenti più tradizionali. Una forma di pedagogia convinta, ma che non può essere confusa solo con una grettezza paranoica.
Stando agli accertamenti, Madad avrebbe cercato di condizionare pesantemente e allo stesso modo anche numerosi ragazzini, perfino in età preadolescenziale. E' questo il “brodo di coltura” dove tanti piccoli fanatici crescono. O perlomeno dove qualcuno può trovare motivazioni per comportamenti estremi.
Fortunatamente nello scenario del Nordest non ci sono stati, finora, attentati di matrice islamica. Eppure in questi ultimi anni si sono manifestate dinamiche non tranquillizzanti. In questo magma ideologico che va da Al-Qaida all'Isis, ci sono quattro figure ricorrenti: i combattenti sul terreno di guerra (Siria e Iraq), i terroristi (nei paesi arabi e sempre più spesso anche in Europa), i reclutatori e gli ispiratori (un tempo si sarebbero detti i “cattivi maestri”). Veneto e Friuli non hanno sperimentato l'azione dei terroristi. Eppure hanno dato il loro contributo al reclutamento di foreign fighters.
L'esempio più eclatante è costituito dalla cellula bellunese-friulana che ha portato in Siria (dove sono probabilmente morti entrambi) l'imbianchino bosniaco Ismar Mesinovic (che ha portato con sé il figlioletto Ismail di 4 anni) e il suo amico macedone Munifer Karamaleski, abitante a Ponte nelle Alpi (coinvolto anche il cognato Adisen Mauslijoski). Struttura esemplare, per ruoli e compiti. Infatti, sono finiti in carcere il reclutatore, il macedone Aihan Veapi residente ad Azzano Decimo (Pordenone), e l'addestratore, lo sloveno Rok Zavbi che si era recato nel Bellunese per insegnare come si combatte. Il loro ispiratore è stato nientemeno che l'”imam del terrore”, quell'Husain Bilal Bosnic, arrestato a Sarajevo e condannato a 7 anni di carcere per reclutamento terrorristico. Un salafita, come l'imam di Noventa Vicentina.
Era stato Bosnic a seminare con la predicazione, avvenuta anche in Friuli, nella comunità islamica di Pordenone dove era transitato nel 2013 e 2014. Non a caso nel maggio 2015, da Azzano Decimo è stato espulso Arslan Osmanoski per motivi di prevenzione del terrorismo.
Il caso di Mohammed Madad non è isolato. Da Schio è stato espulso pochi mesi fa un altro imam, Sofiane Mezzereg: alcuni alunni di una scuola elementare, per obbedire ai suoi insegnamenti, si erano rifiutati di ascoltare la musica in classe, considerandola peccaminosa. E' la stessa predicazione, interpretata come veicolo di fanatismo, che sta all'origine dell'espulsione di Madad. Ma i due bellunesi non sono gli unici foreign fighters. Soltanto un anno fa, a diciannove anni, Meriem Rehaily ha abbandonato la famiglia ad Arzergrande, in provincia di Padova, ed è andata a combattere una guerra cibernetica con l'Isis. Figlia di immigrati marocchini, vissuta in Italia dall'età di 9 anni, vestiva all'occidentale e amava divertirsi. Ma questo non le ha impedito di scomparire, per arruolarsi e diventare una terrorista informatica.
© riproduzione riservata

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci