Ci siamo, la campagna per il Sì al referendum è partita e l'ha aperta

Venerdì 30 Settembre 2016
Ci siamo, la campagna per il Sì al referendum è partita e l'ha aperta Matteo Renzi con un comizio nella “sua” Firenze. In platea, all'Hobihall, anche la moglie Agnese. La giornata aveva già registrato altri interventi da parte del premier segretario che avevano fatto discutere. Uno, in particolare, affidato a un colloquio con Il Foglio, dove Renzi ha aperto ufficialmente il fronte della destra rispetto al referendum. «Inutile girarci attorno: i voti di destra saranno decisivi al referendum. La sinistra, ormai, è in larghissima parte con noi», il messaggio renziano, volto ad aprire la caccia al consenso moderato, alla cosiddetta “maggioranza silenziosa” che probabilmente deciderà delle sorti della consultazione.
«L'elettore di destra si trova oggi due strade: votare sul merito, non votare sul merito. Sulla scheda elettorale non sta scritto volete voi cancellare dalla faccia della terra il governo Renzi, per quello c'è sempre tempo, il governo può essere cancellato ogni giorno in Parlamento, o alle elezioni politiche, dai cittadini. Oggi si discute di altro, di Italia, non di persone», ha argomentato il premier. Un'apertura pressoché obbligata, visto che ogni referendum è per natura trasversale, il classico luogo dove gli elettorati politici si mischiano, se a prevalere è il quesito e non la partigianeria politica. In questo caso, poi, Renzi e il Pd puntano parecchio sull'elettorato moderato e di destra, che per tutta una fase in Parlamento era stato rappresentato da partiti a favore della riforma, Silvio Berlusconi in primis, e anche adesso, con Stefano Parisi, mostra di non essere proprio tra i più puntuti sostenitori del No, anzi.
Più che repliche da destra, è stata come al solito la minoranza interna a salire sulle barricate. In successione Cuperlo e Speranza, incuranti di trovarsi a braccetto con la destra fin quando continueranno a ripetere di voler votare No, hanno puntato il ditino contro Renzi perché reo di «aver detto una non bella frase che rischia di dividere il Paese e la sinistra» (Cuperlo), o perché «così ci troviamo tutti iscritti al partito della nazione» (Speranza). «Il referendum non è il congresso del Pd», ha replicato da Perugia il leader dem, che ha anche ripetuto di essere pronto a cambiare l'Italicum, che «è meno importante della riforma costituzionale».
Non è mancata la rasoiata versus D'Alema, «esperto in lotte fratricide, provate a chiedere a Prodi e a Veltroni. Se si fosse impegnato a combattere il centrodestra quanto ha combattuto i suoi compagni di partito, questo Paese sarebbe diverso». Si è fatto sentire anche Pierluigi Bersani nel giorno del suo compleanno, e per dare un'altra stoccata, quasi di malaugurio, a Renzi: «Se non cambia l'Italicum, finiamo nel burrone». La tesi dell'ex segretario è che di fronte ai pericolosi populismi dei Trump, delle ex repubbliche socialiste, dei Grillo e dei Salvini, l'unica ricetta è «includere» con una bella legge elettorale di tipo proporzionale o che ne mutui gli effetti. Poi, a una trasmissione, Bersani è stato ancora più esplicito: «Se vince il No salta l'Italicum», il tutto condito con una battuta: «Per Renzi la bandiera rossa è quella della Ferrari», a ricordare l'intesa ferrea tra il premier e il capo di Maranello, Marchionne.
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