BRUXELLES - Jean Claude Juncker è sotto attacco. Ma per ora ha ancora l'appoggio del Parlamento europeo e non pensa affatto a lasciare. «È giunto il tempo che il presidente della Commissione Ue si dimetta» perché «con tutto il rispetto, Juncker non ha capito nulla» nella gestione del referendum britannico, ha scritto la Frankfurter Allgemeine Zeitung. E da Praga il ministro degli esteri Lubomir Zaoralek, a margine della riunione coi colleghi del gruppo di Visegrad, ha affermato che il lussemburghese «non è più l'uomo giusto al posto giusto». Dalla Commissione, il portavoce Margaritis Schinas, ha escluso che Juncker pensi alle dimissioni («Ho già avuto questa domanda giovedì scorso e la risposta è stata una parola di due lettere, di cui la prima è la 'N'»). Ma mentre fonti interne riconoscono che «venerdì si poteva fare di meglio» nella prima reazione all'esito della Brexit, la Commissione difende le sue posizioni. E Schinas - a chi chiede se l'esecutivo non dovrebbe trarre le conseguenze della bocciatura venuta dalla Gran Bretagna - sottolinea che «non è stata la Commissione a volere il referendum, chi ne deve trarre le conseguenze è chi ha chiesto il referendum». Ovvero, David Cameron. L'esclusione di Juncker dall'incontro di Berlino parla della tentazione dei governi di dare al Consiglio la «guida politica» del negoziato con Londra, quando e se il nuovo governo farà scattare la procedura di divorzio. Il Collegio dei Commissari però oggi ha ribadito di ritenere la Commissione legalmente titolare della trattativa. Preludio dell'ennesimo scontro tra le due istituzioni in corso da almeno un anno, di cui il fallimento del meccanismo di ricollocazione dei rifugiati è solo un esempio.
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