Alla madre, andata a riprenderselo a Ginevra dopo che era stato arrestato sulla

Mercoledì 27 Luglio 2016
Alla madre, andata a riprenderselo a Ginevra dopo che era stato arrestato sulla strada verso la Siria doveva voleva andare “a fare la Jihad”, Adel Kermiche aveva risposto secco: “La France me saoule”, la Francia mi ha rotto. Per questo era diventato un altro, perché la Francia lo aveva stufato. Perché dopo Charlie Hebdo aveva capito che in Francia “non si poteva praticare tranquillamente la religione”. Tutto era avvenuto così in fretta che la madre, un'insegnante, aveva pensato all'opera di una setta. Adel, che fino al giorno prima “usciva con le sue amiche, ascoltava la musica”, improvvisamente aveva cominciato “a fare strani discorsi a tavola”: così la donna aveva raccontato nel maggio 2015 alla Tribune de Genève. Invano i fratelli e le sorelle avevano cercato, con le buone, con le cattive, di fargli cambiare idea. Quando a maggio era stato estradato in Francia, dopo due tentativi falliti di raggiungere la Siria, la madre aveva tirato un sospiro di sollievo: “Per fortuna sono riusciti a prenderlo in tempo, e per due volte. Se fosse riuscito a raggiungere la Siria potevo fare una croce su mio figlio”. E invece suo figlio sarebbe venuto a morire in Francia, a duecento metri da casa, dentro la chiesa davanti alla quale passava davanti ogni giorno da quando era nato, sull'avenue Gambetta. La prima volta che aveva provato a scappare era ancora minorenne. Era il marzo 2015, tre mesi dopo la strage a Charlie. A scuola andava sempre peggio. Passava il tempo sul pc. Sono i fratelli che scoprono i suoi diversi profili su facebook e soprattutto i suoi post: esaltano la jihad, il radicalismo, la violenza. A casa scoppia il finimondo, il giorno dopo lui fa le valigie e scappa. Mette in azione il “piano A” che la famiglia scopre facilmente su facebook. Lui dice che in Siria lo aspettano, prevede di passare per la Bulgaria, ma non riesce ad andare oltre Monaco: la polizia tedesca lo intercetta e lo rispedisce a casa. Viene posto sotto controllo giudiziario, deve passare in commissariato una volta a settimana. La madre chiede che gli sia messo il braccialetto elettronico, ma lui è ancora minorenne, la polizia dice no. Ad aprile compie 18 anni e a maggio scatta il “piano B”: l'11 maggio 2015 ci prova di nuovo, questa volta in compagnia di un amico, vicino di casa, A. M. appena sedicenne. Il 12 maggio arriva a Istanbul, via Svizzera, con la carta d'identità del cugino: l'amico riesce a far perdere le tracce, lui è fermato dalla polizia turca. Viene rispedito a Ginevra, è arrestato e incarcerato. Lui chiede soltanto di poter “vedere sua madre” . “Usava parole che non gli avevo mai sentito pronunciare – racconterà la donna al giornale svizzero – avevo l'impressione che fosse stato stregato, che gli avessero fatto il lavaggio del cervello”. In Francia finisce in carcere per associazione a delinquere in relazione a un'azione terroristica. Il 22 marzo gli concedono la libertà vigilata. Questa volta la madre è più tranquilla: ha il braccialetto elettronico, può stare fuori soltanto la mattina, dalle 8 e 30 alle 12 e 30. Morirà infatti poco dopo le undici, gridando Allah Akbar.
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