Ai "grillini" spagnoli il sorpasso non riesce

Lunedì 27 Giugno 2016
MADRID- Mariano Rajoy l'inaffondabile sopravvive ad un'altra elezione e anzi è il vincitore relativo delle politiche spagnole, che hanno visto tramontare il 'sogno' di Podemos di diventare il primo partito della sinistra superando i socialisti e candidarsi alla guida del governo.
Fra colpi di scena, dopo la pubblicazione di un disastroso exit-poll che dava il partito post-indignado davanti al Psoe e il suo leader Pablo Iglesias in buona posizione per candidarsi a premier di un governo di sinistra, i risultati reali mano a mano hanno rovesciato il quadro politico. Il Pp di Rajoy si rafforza rispetto a dicembre. Dopo lo spoglio del 90% delle schede cresce di 13 deputati, a quota 136 su 350, con il 32,7% dei voti. In favore del partito del premier ha giocato un effetto Brexit, come sperava il premier uscente, spingendo una parte degli elettori a votare la 'sicurezza' contro l'avventura di Podemos. Così i popolari vampirizzano anche il partito moderato emergente Ciudadanos, che scende da 40 a 32 seggi e al 12,8%. I socialisti, in leggera flessione a 86 deputati contro i 90 del Congresso uscente - con il 23% - si salvano però dal disastro annunciato dai sondaggi, che unanimi prevedevano il sorpasso di Podemos.
Il partito 'viola' registra una forte delusione, dopo che i le inchieste demoscopiche per settimane gli hanno fatto «toccare il cielo», dando a un'ipotetica coalizione Podemos-Psoe guidata da Iglesias quasi la maggioranza assoluta. Il partito, alleato con Izquierda Unida, si ferma a 71 seggi, lo stesso risultato di dicembre.
Questi risultati del 'secondo turno', provocato dalla paralisi del parlamento dopo le politiche di dicembre, senza maggioranze chiare e fra veti incrociati dei partiti, rischiano però di non risolvere il problema della governabilità del paese.
Rajoy ha continuato a proporre durante la campagna elettorale quanto ha sostenuto negli ultimi sei mesi, cioè una Gran Coalicion con socialisti e Ciudadanos che garantisca per quattro anni la stabilità del paese in un quadro 'europeo'. Il leader socialista Pedro Sanchez però finora ha risposto 'no'. Da soli, popolari e Ciudadanos non arrivano alla maggioranza assoluta di 176 seggi del Congresso. Il premier uscente si presenta però ora alle trattative con gli altri partiti con una maggiore autorevolezza: quella del solo leader che ha vinto, e non poco, in queste politiche. Rajoy ha rivendicato che il partito più votato possa comunque governare, se non altro in minoranza. Il deludente risultato della sinistra rende più difficile il possibile tentativo di una maggioranza progressista Psoe-Podemos, che potrebbe però cercare di allargarsi ai nazionalisti baschi del Pnv (5 seggi) o ricercare l'astensione degli indipendentisti catalani di Cdc e Erc (17 deputati).
Il quadro rimane complesso e assai frastagliato. I quattro leader in campagna hanno detto di essere determinati ad evitare un nuovo ritorno alle urne. Le trattative però si annunciano difficili. E un terzo scrutinio, fra tre o quattro mesi, non appare impossibile.
No Podemos. Perdemos. Non il sorpasso. La disfatta. Lo choc da sconfitta a sorpresa. Non doveva stravincere, o almeno rottamare nelle urne il vecchio e acciaccato Psoe, il partito di Pablo Iglesias sempre lanciatissimo nei sondaggi e sempre battuto nella conta reale dei numeri? Siamo al bis del flop. Così fu nel voto di dicembre, e così di nuovo adesso. E pensare che il colpaccio era pronto. E che la spinta della Brexit, insieme al vento anti-sistema che impazza in molte parti dell'Europa, avrebbe dovuto notevolmente aiutare Podemos. Ma così non è stato. Forse anche a causa della strategia confusa messa in campo dal partito di Iglesias negli ultimi mesi. È stata quella di normalizzarsi. Di moderare i toni - “Le critiche di Renzi all'Europa sono più dure delle nostre”, ha detto l'altro giorno Pablo Bustinduy, responsabile eteri di Podemos - e di cercare di rassicurare quell'elettorato classico vicino ai socialisti per portarlo fuori dal Psoe e al fianco di un ex movimento che fattosi partito si è proposto anche cosi: “Se ci chiamano socialdemocratici, noi non ci offendiamo”.
Gli elettori si sono offesi di fronte a questa manovra governista evidentemente. O comunque non si sono fidati. E sono restati nella malmessa casa d'origine, ossia dal socialista Sanchez che veniva ingiustamente dato per spacciato. “Siamo un movimento apertamente europeista, che vuole cambiare l'Europa, e non un movimento populista”, questo è stato il mantra. Che è risultato fuori sincrono in questa fase.

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