Addio al rifugio "nido di aquile" sulle Dolomiti

Domenica 31 Luglio 2016 di Stop alla cabinovia, chiude il glorioso "Lorenzi" base per le escursioni sul gruppo del Cristallo
Addio al rifugio "nido di aquile" sulle Dolomiti
Chissà cosa direbbe Wenzel Eckerth, primo compilatore di una guida del Cristallo quasi 130 anni fa. Ieri ha chiuso il rifugio Lorenzi, il nido d'aquila a forcella Staunìes. E la montagna che completa a nordest la scenografia di Ampezzo fa un tuffo indietro di oltre un secolo, torna vergine quasi come all'epoca dei pionieri. Chiude il sipario che svelava a migliaia di appassionati immensi panorami, quel mare d'aria dal quale spuntano come isole misteriose le vette delle Dolomiti: Tre Cime, Popera, Croda dei Toni, Sorapìs, Croda Rossa fino alle Alpi austriache bianche di neve. E per Cortina, nel pieno della stagione turistica, non è il migliore biglietto da visita.
Quando Eckerth, ingegnere boemo, pubblicò la sua monografia, nel 1891, il solitario mondo dei Monti Pallidi era popolato da cacciatori, pochi appassionati e da qualche topografo dell'impero di Vienna. E il nuovo mestiere di guida, che avrebbe consacrato nei libri dei “foresti” i nomi dei montanari più coraggiosi e intraprendenti, a Cortina aveva appena vent'anni. Allora il gruppo del Cristallo era conosciuto da un manipolo di personaggi che avevano iniziato a scoprirne i fianchi e a salirne le cime, come il viennese Paul Grohmann, l'ungherese Lorand von Eötvös, l'inglese Edward Withwell, assieme a montanari che divennero guide leggendarie: Michel Innerkofler della locanda Ploner a Schluderbach-Carbonin, Santo Siorpaes e Angelo Dimai di Cortina, lo svizzero Christian Lauener, solo per fare qualche nome.
A quell'epoca le strade erano poche e malandate, i sentieri si contavano sulle dita delle mani e sul Cristallo non c'erano ricoveri. Gli unici veri punti di appoggio erano Cortina da un lato e la locanda di Georg Ploner a Schluderbach (allora territorio austriaco), la quale in pochi anni divenne un vero e proprio campo base per le esplorazioni sulle Dolomiti Orientali. Nient'altro. In più di un secolo l'immagine non è cambiata granché. Schluderbach, oggi territorio italiano, si chiama Carbonin e la locanda Ploner è un piccolo villaggio turistico; a Ospitale esiste un albergo ristorante; poco più su di passo Tre Croci, a quota 2.235, c'è il rifugio Son Forca; e a forcella Staunìes, a 2.932 metri, sorge il rifugio Lorenzi. Intitolato a Guido Lorenzi, "Scoiattolo" (il gruppo dei mitici arrampiatori di Cortina) scomparso in un banale incidente nel 1956, venne aperto nel luglio 1959 per iniziativa di un altro Scoiattolo, Beniamino Franceschi “Mescolin”. Fu ristrutturato a metà degli anni Settanta e da sedici anni è gestito da Alberto Larese, 51 anni, di Auronzo, con moglie e tre figli. Chiuso questo, resta solo il Son Forca con la seggiovia che sale da Rio Gere, uniche strutture in più rispetto al mondo che conoscevano Eckerth e compagni.
Per la verità esisteva un'altra capanna, il rifugio Popena. Venne costruito da privati nel 1938 sull'erba magra della forcella che porta lo stesso nome, un incendio lo distrusse nel 1944. In forcella rimangono i ruderi e si spera che l'ex rifugio Popena rimanga “ex”, che a nessuno venga in mente di “valorizzare” quell'area, bellissima e silenziosa.
Come diventerà silenziosa forcella Staunìes. “Oggi si torna giù”, spiega Alberto Larese. Non c'era proprio niente da fare? “Purtroppo no, credo siano mancati i soldi per un impianto nuovo. Per noi è la fine dei giochi”. Insomma fermati i bidoncini che portavano da Son Forca a Staunìes, bloccati una settimana fa dopo il definitivo “no” alla richiesta di un'ulteriore proroga (l'impianto era scaduto nel 2011), anche la sorte del rifugio pare segnata. Arrivarci a piedi è possibile, da Son Forca si tratta di superare circa 700 metri di dislivello in circa due ore e mezzo, ma non c'è un sentiero tracciato ed è ovvio che andarci in cabina era molto più comodo. La prova? “Con l'impianto in funzione in media salivano duecento persone al giorno – ricorda Larese – mercoledì ne sono salite solo sette. Due hanno preso un tè e via”.
La chiusura della cabinovia e del rifugio complica anche le possibilità escursionistiche dell'area. Dal Lorenzi infatti partono quattro itinerari piuttosto impegnativi, tre ferrate e un lungo sentiero attrezzato: la ferrata Marino Bianchi alla Cima di Mezzo del Cristallo (3.200 metri, tre ore); la Ivano Dibona al Cristallino d'Ampezzo (3.008 metri, un'ora); il sentiero ferrato Ivano Dibona, fantastica traversata che si conclude a Ospitale (1.490 metri), tra Cortina e Dobbiaco (sei/sette ore); la ferrata René De Pol fino a Ospitale (1.490 metri) percorrendo in parte il Sentiero Dibona (ore 5.30-6.30). Luoghi di straordinaria bellezza e testimoni tragici della Grande Guerra.
L'ufficio Guide di Cortina e la società Funivie Faloria sono già corsi ai ripari proponendo di effettuare il sentiero Dibona in senso inverso da Ospitale a forcella Staunies (ma le ore diventano 8/9), oppure di dividerlo in due e percorrere i nuovi itinerari partendo da Son Forca. Tutto si può fare ma è chiaro che non è la stessa cosa. La migliore soluzione sarebbe una struttura nuova, perché quella “vecchia” è definitivamente morta. “Sì, credo non ci sia niente da fare – spiega Enrico Ghezze, amministratore della società che gestisce gli impianti di Cristallo, Faloria e Mietres – anche se abbiamo la speranza di poterci attaccare a qualcosa. Speriamo non sia il tram...”. Il primo impianto è stato aperto per le Olimpiadi invernali del 1956, poi è stato adeguato tra gli anni '70 e '80. Doveva essere chiuso nel 2011 ma è stato salvato cinque volte da altrettante proroghe, l'ultima richiesta è stata negata dall'Ustif (l'ufficio per gli impianti fissi) e la società ha presentato al Tar istanza di sospensiva ma anche il tribunale ha risposto no.
“Un impianto nuovo costa 7 milioni – osserva Ghezze – una cifra elevata, praticamente il bilancio della società, ma non stiamo fermi. Probabilmente si punterà su una mini-funivia che nella gola, dove ci sono problemi geologici, richiede meno pali”. Tempi? “L'iter progettuale richiede circa un anno, però se fossimo veloci si potrebbe lavorare nella primavera 2017”. Ma è sufficiente il solo sforzo economico della società? Punta in alto Luigi Alverà, presidente della sezione Cai di Cortina, per anni nella commissione nazionale Rifugi del Club alpino: “Il problema non è solo del rifugio che chiude (è privato non del Cai, ndr) perché quello è anche un accesso in quota al Parco delle Dolomiti d'Ampezzo. Secondo me ci si deve muovere a un livello più alto di quello ampezzano, magari con la Regione. Speriamo in una presa di coscienza sul valore di quell'area, per un impianto che consideri anche le persone con mobilità ridotta”.
In altre parole fare in modo che tutti, nessuno escluso, possano ammirare da lassù i colori delle montagne più belle del mondo. Ma ci sarà da aspettare. E per ora la parola d'ordine è una sola: gambe in spalla.
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