A Viale Mazzini ormai l'hanno bello che capito: l'operazione trasparenza è

Martedì 26 Luglio 2016
A Viale Mazzini ormai l'hanno bello che capito: l'operazione trasparenza è destinata a diventare un Vietnam. Palate di fango su direttori e dirigenti, reazioni politiche, tanta demagogia, sdegno dei cittadini: «Il servizio pubblico è sotto attacco», raccontano nelle stanze della sede della tv pubblica. Perché chi paga il canone non tollera simili compensi. Tuttavia è necessario fare dei distinguo. Il sacrilegio di Viale Mazzini va ricercato nelle cattive gestioni del personale tramandate per anni e dovute principalmente alla politica, che ha potuto lottizzare la Rai con assunzioni strapagate. Personale che una volta rimosso ha continuato a prendere gli stessi soldi senza avere nuovi incarichi. Demansionamenti costati cari anche perché sentenze di tribunali hanno condannato l'azienda a pagare. Ci sono 1.300 cause, si viaggia alla media di un contenzioso ogni 10 dipendenti. Il 10%. La Rai è diventato un carrozzone anche perché a differenza di altre aziende private non ha accompagnato all'uscita i dirigenti rimossi. Ha continuato a pagarli. Altro errore fatale è stato quello di non proporre contestualmente i ricollocamenti. Mauro Mazza e Carmen Lasorella, due giornalisti rimasti senza un incarico ma pagati con gli stessi compensi, avrebbero potuto rientrare nel giro di valzer dei corrispondenti. E non sappiamo ancora se e quando avrà fine l'aspettativa di Augusto Minzolini. Il suo compenso era ben superiore al mezzo milione l'anno. Altra cattiva abitudine è quella di continuare ad assumere esterni a tempo indeterminato. Con l'avvento di Campo Dall'Orto si è parlato di contratti della durata della governance. Lo stesso premier Renzi difese le scelte del capo azienda sottolineando il fatto che in caso di insuccesso se ne sarebbero andati via in blocco. Invece, grazie alla trasparenza, si scopre che due terzi dei nuovi hanno un contratto a tempo indeterminato, a cominciare dallo staff dell'ad. Per non parlare dei responsabili del web e della comunicazione, i cui compensi sono allineati con i direttori di testate giornalistiche che stanno in Rai da decenni. Tra i più innervositi da come è stata gestita la vicenda trasparenza da parte dell'azienda ci sono i direttori delle testate giornalistiche. E' vero che il compenso lordo fa impressione leggerlo, tuttavia detraendo tutte le tasse e gli accantonamenti previdenziali, resta meno del 50%. Quindi chi ha un lordo di 200 mila, percepisce 7 mila euro al mese. Che non sono bruscolini, ma che non fanno gridare allo scandalo se si dà un'occhiata agli stipendi della carta stampata o dei tg concorrenti (Mentana viaggia intorno al milione, Mimun ai 700 mila). Un direttore di tiggì è 24 ore su 24 giuridicamente responsabile di ognuno dei 50 mila servizi l'anno che vanno in onda. Cause penali e civili, le convocazioni in Vigilanza, l'Osservatorio di Pavia, l'AgCom. La qualità porta ascolti e i tiggì sono in testa alle graduatorie di rete. Contribuiscono a fare della Rai uno dei quattro broadcaster europei che supera il 30% di share. Poi negli ultimi anni la spending review si è fatta notare. Mimun e Minzolini al Tg1 prendevano 500 mila euro, Orfeo al Tg2 400 mila. Oggi lo stesso Orfeo al Tg1 è 200 mila sotto i suoi predecessori.
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