Se così fosse tanto da implicare un cambio di linea complessivo del Pd, sarebbe

Mercoledì 28 Dicembre 2016
Se così fosse tanto da implicare un cambio di linea complessivo del Pd, sarebbe l'autorottamazione del Jobs Act: non certo il massimo, per chiedere futuri consensi all'elettorato. Il problema si pone non solo sull'articolo 18, che la Cgil vuole ripristinare nella sua disciplina vincolistica anteriore al Jobs Act non solo, com'era prima, per le aziende con più di 15 dipendenti, ma per quelle con oltre 5 lavoratori. Sarebbe un referendum creativo e non abrogativo, e vedremo cosa la Consulta avrà da dire in proposito. Ma analoga questione si pone anche per i voucher, i buoni per il lavoro accessorio che nella vulgata sono diventati nuovi strumenti di un odioso precariato di massa. Le domande alle quali rispondere sono, nell'ordine, tre. I voucher sono davvero come li si dipinge? Oppure hanno espresso una domanda e offerta di lavoro positive? Che lezione trarre, che cosa fare in concreto?
I buoni per il lavoro accessorio sono diffusi da molti anni nel Nord Europa, hanno dato buona prova di sé in Francia e Belgio. Introdotti nel 2003 in Italia dalla legge Biagi, per anni non trovano applicazione. Fatto sta che da poco più di 24mila lavoratori accessori che lo utilizzano nel 2004, si passa nel 2015 a un milione e trecentomila percettori di voucher. Dal 2012 i voucher vengono infatti estesi dalla Fornero a tutti i settori. Perché la liberalizzazione? Perché nel frattempo si rafforzava sempre più l'idea di rafforzare i contratti a tempo indeterminato, e aumentavano le restrizioni alle forme di lavoro coordinato e continuativo: idea che di tappa in tappa sfocia nel Jobs Act, con la fine dei cosiddetti co.co.co e co.co.pro. Nasce da questa premessa il duplice sospetto che l'enorme estensione negli anni del ricorso ai voucher sia il bacino i cui confluiscono mascherate le precedenti tipologie di precariato.
A onor del vero, il Jobs Act ha già introdotto limitazioni. E' stato introdotto il massimale annuale pagabile a voucher in 7mila euro, oltre a quello di 2mila euro annuali per lavoratore da parte di ogni singolo datore di lavoro. E' stato inibito l'utilizzo dei voucher negli appalti. Ed è stato previsto l'obbligo di comunicazione all'Inps di tutte le caratteristiche d'uso del voucher, preventivamente al suo utilizzo. In teoria, apposta per impedire che il voucher copra lavoro nero. E il governo Renzi, fino a qualche settimana fa, ripeteva infatti che era anche per questo, che nei primi 10 mesi del 2016 sono sì stati venduti 121,5 milioni di voucher, ma con un incremento del 32,3% sull'analogo periodo del 2015, non più del 67,6% di crescita tra gennaio-ottobre 2015 rispetto al 2014.
Nell'ultimo rapporto annuale Inps di qualche mese fa, quindi aggiornato ai dati 2015, apprendiamo che il guadagno netto medio dei lavoratori retribuiti con i voucher negli ultimi anni non è mai arrivato a 500 euro. Il numero dei lavoratori è cresciuto costantemente negli anni, ma il numero medio di voucher riscossi dal singolo lavoratore è sostanzialmente invariato: circa 60 l'anno, dal 2012 in avanti. L'età media è andata sempre decrescendo, così come il differenziale di età tra i sessi. Il ricorso ai voucher è concentrato nel Nord: il Nord-Est incide per il 36,8%, il Nord-ovest per il 29,5%.  La regione con maggiore ricorso ai voucher è la Lombardia, seguono Veneto ed Emilia- Romagna.
Il tipo di attività per la quale è stato acquistato il maggior numero di voucher è il commercio con un 16,8%, ma vanno forte anche l'assistenza alle persone e la manutenzione delle abitazioni. Il 36,7% include invece attività specifiche d'impresa, ed è su questo terzo abbondante di utilizzo che si appuntano i sospetti di abuso. Che generano letture divergenti. Da una parte lo stesso presidente dell'Inps, Tito Boeri, a maggio ha lanciato un vero e proprio atto d'accusa: I voucher ha detto - sono nati per regolarizzare il lavoro accessorio, ma hanno avuto uno sviluppo diverso: in alcuni casi abbiamo una precarizzazione evidente, con lavoratori a tempo indeterminato o determinato che adesso hanno i voucher, e in questo senso sono anche controproducenti.
Senonché proprio uno studio Inps diretto da Bruno Anastasia nel 2015 mostra come i percettori dei voucher siano quasi al 10% pensionati, mentre il 55% si divide tra chi ha un altro lavoro e percettori di ammortizzatori sociali. È solo dal miglioramento della raccolta sistematica di questi dati e la loro incrocio interpretativo, che può venire la migliore risposta al che fare. Se si vogliono identificare sulla base di dati concreti alcuni settori precisi di attività in cui forte è il sospetto di abusi, dopo quello degli appalti come già si è fatto, allora si possono e si devono adottare restrizioni a quelle tipologie. Ma buttare a mare i voucher in quanto tali, come pretendono la Cgil e molti pentiti, è un triplice errore. Ignora il fatto che in almeno i due terzi dei casi l'evidenza empirica sin qui raccolta comprova l'idea che il fine di contrasto al nero sia ottenuto. Rifiuta l'evidenza che per quei lavori mai e poi mai si stipulerà un contratto a tempo indeterminato. Respinge l'idea stessa che il lavoro la sua cultura e la sua dignità - sia espressione di una società flessibile e in continua trasformazione. In più, se avvenisse l'abiura, per il Pd sarebbe un clamoroso autogol.
Oscar Giannino
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