La scelta fatta dal DJ Fabo di recarsi in Svizzera per porre fine ad una vita che

Martedì 28 Febbraio 2017
La scelta fatta dal DJ Fabo di recarsi in Svizzera per porre fine ad una vita che ormai considerava una prigione del suo essere ha scatenato, e non poteva essere altrimenti, nuove polemiche sul diritto o meno a disporre della propria vita.
E' facile che le diverse scelte ideologiche o fideistiche si fronteggino aspramente su questo argomento e che la persona malata passi in secondo piano rispetto alle convinzioni dei polemisti.
Vale la pena di ricordare a tutti che in altri tempi, prima che la medicina trovasse metodi artificiali di mantenimento delle funzioni vitali (respirazione, alimentazione, diuresi etc) l'essere che perdeva queste funzioni era destinato a rapida morte.
Tra gli indiani d'America il vecchio che non riusciva più ad avere le funzioni vitali efficienti si recava in montagna tra i boschi ad attendere la morte portatagli dagli animali o dalle intemperie.
Dagli anni cinquanta si è sviluppata una disciplina capace di supplire le funzioni vitali dell'uomo, la Rianimazione. A ben pensare si tratta di un vocabolo improprio perché non è l'anima ma il corpo ad essere mantenuto in vita mediante la supplenza delle sue funzioni vitali.
Oggi si dice che, essendo capaci di supplire tali funzioni vitali, i medici devono usare ad oltranza tale capacità perché la vita che è stata donata al paziente non è nella disponibilità di nessuno.
Eppure papa Pio XII nell'allocuzione che fece nel 56 al Congresso Mondiale sulla Rianimazione disse che la nuova tecnologia doveva essere impiegata nella prospettiva di curare il paziente e non di eseguire un mero esercizio di virtuosismo tecnologico fine a sé stesso.
Si trattava di una posizione non ideologica, ma di semplice buon senso, e indicava ai medici che l'obiettivo della nostra nuova capacità di supplire le funzioni vitali, compromesse da malattia, doveva mirare alla guarigione del paziente, o quanto meno a dargli una vita umana e non vegetativa.
In fin dei conti emerge nella posizione del pontefice il concetto di pietas romana, cioè il rispetto della persona umana che non ha niente a che spartire con l'attuale significato pietistico della parola.
Possiamo noi medici interrompere una vita vegetativa? Certo che si. Ogni volta che eseguiamo un prelievo di organi da donatore a cuore battente noi interrompiamo una vita vegetativa.
Non è neppure questo un atto che si compia senza pensieri sul ruolo che ci stiamo assumendo.
Ognuno di noi potrebbe trovarsi nella condizione di Fabo ed io so che, per me, non vorrei essere mantenuto qui se non sarò più me stesso e che voglio essere libero di andare incontro al Padre e al suo giudizio, sperando che la sua misericordia sia una verità.
Quindi come la società si debba comportare nelle evenienze come quella di Fabo, paralizzato in tutto il corpo, incapace di vita autonoma e cieco, deve essere materia da trattare e mettere a norma, con riflessione e pietas, senza agonismo ideologico.
Il peccato originale fu l' ambizione dell'uomo di impadronirsi, contro il divieto di Dio, del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male. Ormai il peccato è stato compiuto e non possiamo esimerci, come società, dallo sforzo di decidere cosa sia bene e cosa sia male nella gestione della tecnologia rianimatoria. Decidere se e quando accettare che un evento come la malattia di Fabo debba essere lasciata al suo libero corso naturale.
*Professore di Chirurgia Generale, già Direttore Scientifico dell'Istituto Oncologico Veneto e del Dipartimento chirurgico del policlinico di Padova

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