IL VOTO, LA UE E L'ITALIA

Venerdì 2 Dicembre 2016
(...) la vita politica del continente dal dopoguerra a oggi: quella cristiano-sociale e quella socialista. L'arrivo di gran carriera alla Commissione europea di Leon Brittan, ha introdotto quel Liberal-Laburismo ad alto tenore di deregulation finanziaria che ha di fatto chiuso il ciclo vitale di queste culture e ha aperto quello della tecnocrazia onnipotente, piegando l'Europa agli algoritmi della finanza. Si sono innestati così, nei Parlamenti Europei completamente attoniti e impreparati, i principi cosiddetti common law (tipici della deregulation finanziaria di mercato dispiegato) sui principi consuetudinari romano-germanici (tipici della vecchia Europa nazionalista e protezionista). Ciò avveniva sotto forma non più di leggi, ma di direttive a cui supinamente si aderiva senza nulla ben comprendere.
Come è noto, in tutto questo insieme di poteri visibili e invisibili, si è concretizzata la capacità dell'ordo-liberismo tedesco di modellare non solo le tecnostrutture, ma anche i parlamenti nazionali. Con norme anti debito pubblico inserite nelle Costituzioni nazionali, così da affermare il divieto di perseguire politiche economiche nazionali. Il voto popolare per quel che riguarda l'economia diventava così sempre più irrilevante. Adesso i nodi sono venuti al pettine. Le prossime elezioni in Austria, Francia, Germania e Olanda potrebbero segnare un marcato spostamento a destra, quindi verso un più acceso nazionalismo. Allora forse si smetterà di parlare di populismo e si comincerà a chiamare i fatti con i loro nomi. Si riconoscerà d'essere di fronte all'avvento di un composito gruppo di comando formato dai seguaci dell'idea nazionale. Portano magliette diverse: da quelle dell'Action Francaise o dell'Oas per i lepenisti, di una nuova Vandea nobilitata dagli ideali gollisti per Fillon (che ha vinto le primarie della destra moderata in Francia e può così pensare di sconfiggere la più estremista Le Pen), oppure, ancora, la xenofobia anti-immigrati di Alternative für Deutschland o dell'olandese Geert Wilders, fortemente anti islamico. Ma anche del radicalismo nazionalista polacco, differente però dai più inquietanti neofascisti e neonazisti ungheresi e slovacchi. Senza dimenticare le destre scandinave, anch'esse tutt'altro che moderate.
È una prospettiva preoccupante, anche perché quella che è stata la storica antagonista, insieme con il Centro Cattolico, è stata colpita da paralisi: la socialdemocrazia tedesca si accontenta di un presidente della Repubblica e di uno sfidante della Merkel che è assai poco carismatico (il signor Schulz) e rinuncia a un autentico dibattito su ciò che sta accadendo in Europa. I socialisti francesi, del resto, dopo la rinuncia dell'esangue Hollande a ricandidarsi per l'Eliseo, si affidano al primo ministro Valls dotato della tipica arroganza da alta finanza, che è la peggior esca per pescare nei ceti popolari. Dal canto loro i verdi austriaci si giocano la sopravvivenza sul filo di lana di fronte a un candidato dichiaratamente ultranazionalista.
Per non farci mancare nulla, il Regno Unito, nel suo sonno politico della ragione, continua a produrre paradossi come il ritorno di Tony Blair, intenzionato a vanificare il lavoro artigiano di Jeremy Corbin per ricostruire un'alleanza tra Trade Unions e laburismo.
Quale che sia il giudizio che si voglia esprimere in base alle proprie preferenze politiche, il panorama europeo è preciso e drammatico assieme: le destre, estreme o moderate che siano, sono in grande spolvero; i socialisti arrancano ma, anche senza candidati di spicco, combattono. Il centro cattolico tedesco, che dai tempi di Weimar è stato l'architrave della democrazia moderata europea, invece certo non si rinnova, gioca la vecchia carta di una politique d'abord come la avrebbe definita Pietro Nenni. Solo la Cancelliera Merkel mette in gioco se stessa e tutta la sua vita politica per affermare le sue idee, anche se sono terribilmente nefaste non solo per l'Europa.
In Italia nulla di tutto questo. Una certa imperizia parlamentare ha impedito che si riuscisse a raccogliere quei voti parlamentari sulla riforma costituzionale che sarebbero bastati per impedire il referendum popolare, prova fratricida che rischia di sprofondare il Paese nella disgregazione politica. Disgregazione che si affianca a quella economica, in corso da anni e che erode tutte le nostre capacità produttive. Siamo in un costante calo demografico, in un costante calo degli investimenti, in una costante incapacità di organizzare i flussi migratori. Solo gli eserciti del lavoro possono garantire la sicurezza. Invece viviamo una situazione di tutti contro tutti. Si nasconde eufemisticamente questo problema dicendo che le opinioni del Sì e del No hanno provocato atteggiamenti radicali ma trasversali. In verità ciò che hanno scatenato è un'ulteriore divisione di ceti politici, di sistemi di capi e cacicchi che governano l'offerta elettorale e insieme il potere di fatto.
I Cavalieri dell'Apocalisse avanzano e noi, quasi inconsapevoli, balliamo non la tarantella ma una spettrale edizione della tarantolata ben descritta da Ernesto De Martino. Chi ne era colpito si dibatteva sino allo stremare delle forze e, quando rinveniva alla luce della ragione, il mondo s'era già miticamente trasformato, tutto dimenticando.
Giulio Sapelli
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