Trump a Cuba: cancello l'accordo

Martedì 29 Novembre 2016
Trump a Cuba: cancello l'accordo
A chi darà retta Donald Trump, agli anticastristi della Florida o agli agricoltori dell'Ohio? La domanda scatta naturale nel vedere il presidente eletto alle prese con la prima rogna internazionale che promette di avere pesanti ricadute interne. Negli ultimi tre giorni Trump si è di nuovo affidato ai tweet per comunicare i suoi sentimenti nei confronti di Cuba nell'era post-Fidel.
Gli ultimi sono arrivati ieri mattina ed erano tutti decisamente ostili: Trump prometteva di «porre fine» al disgelo cominciato da Barack Obama due anni fa, «se Cuba non sarà disposta a realizzare un accordo migliore per i cubani, i cubano-americani e gli Stati Uniti nel loro insieme». Il suo stesso capo di Gabinetto, Reince Priebus, il giorno prima aveva offerto una visione più articolata ma non meno severa, spiegando in cosa dovrebbe consistere un accordo migliore, e cioè cambiamenti in settori come la repressione del dissenso, la libertà di religione, la liberazione di prigionieri politici, e la cessazione della repressione.
In poche parole, la strada indicata dall'Amministrazione entrante sembrava quella della intransigenza: o Cuba cambia, o gli accordi saltano. E tuttavia sabato Trump aveva pubblicato una reazione ufficiale che era invece sembrata più possibilista e in cui aveva espresso l'auspicio che la morte del «brutale dittatore» rappresentasse «un punto di svolta dagli orrori del passato verso un futuro in cui lo stupendo popolo cubano poteva finalmente cominciare il suo viaggio verso la prosperità e la libertà».
Proprio nel leggere queste reazioni, gli analisti si chiedevano ieri se Trump voglia davvero abbracciare le posizioni più dure, come gli viene richiesto dall'elettorato cubano anticastrista, o se non darà retta alla potente lobby degli agricoltori, che gli ha dato il voto in vari Stati in bilico, ad esempio il cruciale Ohio, e che non vede l'ora di poter esportare nell'isola la sua produzione.
Trump l'intransigente è chiaramente schierato con le posizioni dei cubani in Florida, che a loro volta sono stati decisivi per la sua vittoria nello Stato del Sole, e difatti ripetutamente durante la campagna elettorale ha promesso di cancellare i decreti presidenziali con cui Barack Obama ha progressivamente portato al disgelo con Cuba nel settore diplomatico, finanziario, culturale, commerciale e turistico. Neanche un mese fa è scattata una di queste iniziative, con la liberalizzazione per i turisti di riportare negli Usa sia sigari che rum cubano.
E proprio ieri sono cominciati i primi voli di linea: la JetBlue da New York e la American Airlines da Miami sono state le prime due a collegare gli Usa a Cuba con voli non più charter, ma con regolari partenze di linea. E' interessante notare che anche qui, come nel settore agricolo, l'interesse del capitale americano non sembra in sintonia con le posizioni severe di Trump: le linee aeree Usa hanno ricevuto il permesso dal Dipartimento dei Trasporti di far partire venti voli al giorno, ma ne hanno già chiesti almeno altri 40. E questo perché il turismo Usa verso l'isola caraibica è aumentato dell'80 per cento in un anno e promette di andare alle stelle.
Dunque non si può escludere che Trump l'intransigente ceda il passo a Trump il pragmatico. Dopotutto lui stesso, imprenditore e costruttore di alberghi e campi da golf, nel passato ha espresso interesse per possibili investimenti a Cuba. La scorsa estate l'agenzia economica Bloomberg rivelò che qualche mese prima Trump aveva spedito nell'isola una squadra di emissari per avviare contatti, e lui in persona aveva detto che gli sarebbe piaciuto costruire un albergo a Cuba «quando sarà legale farlo».
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