LONDRA - 007 licenza di sbagliare. La Gran Bretagna dopo la strage di Manchester

Martedì 30 Maggio 2017
LONDRA - 007 licenza di sbagliare. La Gran Bretagna dopo la strage di Manchester si accorge che nemmeno i servizi segreti di Sua Maestà sono infallibili. E così monta la polemica sulle falle attribuite a chi avrebbe forse potuto fermare per tempo Salman Abedi, 22enne britannico di origini libiche, figlio di vecchi oppositori islamici del colonnello Gheddafi, che una settimana fa si è fatto saltare come una bomba umana all'uscita del concerto di Ariana Grande, uccidendo 22 persone (tra cui sette bambini) e ferendone decine, oltre 60 delle quali tuttora ricoverate in ospedale.
L'MI5, l'intelligence interna del Regno, è stata costretta ad annunciare in fretta e furia due inchieste per chiarire come sia successo che diverse segnalazioni su Abedi fossero rimaste lettera morta. Inchieste da dare per ora in pasto all'opinione pubblica e che si affiancano all'indagine vera e propria sull'attentato di lunedì 22, sul «network terroristico» di complici o fiancheggiatori che si ritiene abbiano assistito il kamikaze, sulle schegge disperse in grado, chissà, di agire ancora. Le persone detenute sono salite a 14, tutti uomini, dopo il fermo oggi d'un 23enne intercettato nel sud dell'Inghilterra nella cittadina costiera di Shoreham-by-Sea. Le denunce dei buchi imputati ai servizi, però, si moltiplicano intanto da più parti. Si parla di almeno tre segnalazioni specifiche sulla pericolosità crescente di Salman cadute nel vuoto. E un avvertimento sarebbe arrivato addirittura dalla madre del giovane. Né mancano perplessità sull'efficacia del coordinamento a livello europeo e internazionale, Interpol compresa, se si considera il numero degli scali fatti qua e là da Salman Abedi.
La ministra dell'Interno, Amber Rudd, ha provato a ridimensionare le accuse agli apparati di sicurezza notando come il 22enne fosse inserito in realtà non nella lista dei circa 3.000 sospettatati di prima fascia, sottoposti a «sorveglianza attiva» sull'isola, ma in quella dei 20.000 più genericamente indicati come potenziali simpatizzanti jihadisti. Ma perché fosse finito lì non lo ha spiegato. Se non bastasse, il Times ha rincarato la dose rivelando che le misure speciali introdotte dal governo nel 2015, sbandierate come necessarie per far fronte al ritorno dei foreign fighters, si siano risolte in un mezzo flop.
Gli aspetti imbarazzanti non riguardano del resto solo il fronte interno. Come dimostra il fatto che l'MI6, l'intelligence estera, abbia spedito un team di agenti a Tripoli per lavorare sul retroterra libico dell'attentatore: sul ruolo del fratello Hashem (che con Salman avrebbe «giurato fedeltà» al Califfato e che si sospetta abbia a sua volta avuto a che fare con un piano, fallito, per uccidete l'emissario Onu nel Paese nordafricano, Martin Kobler), nonché su quello del padre Ramadan, ex dissidente anti-Gheddafi protetto e usato a lungo da Londra malgrado i legami qaedisti, e finito ora agli arresti in Libia. O forse solo nascosto a interlocutori scomodi.
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