L'addio di Barack Obama: «Americani, non arrendetevi»

Giovedì 12 Gennaio 2017
Doveva essere una grande festa, la celebrazione di otto anni di presidenza e il passaggio del testimone a un successore amico e ideologicamente vicino. Invece la festa di addio di Barack Obama è stata semmai una chiamata alle armi, alla mobilitazione per salvare la democrazia americana: «L'America non è una cosa fragile ha spiegato il presidente nel salutare il Paese - Ma le conquiste che abbiamo accumulato nel nostro lungo viaggio verso la libertà non sono garantite».
Circondato da una folla adorante di quasi 20mila persone, nell'auditorium in cui nel 2012 festeggiò la sua rielezione, Obama ha avuto martedì sera anche momenti di intensa commozione, soprattutto quando ha parlato degli amici, dei sostenitori, del suo vicepresidente e di sua moglie. Ma è chiaro che a cuore gli stava soprattutto di spronare gli americani a impegnarsi per salvare la nazione da alcune minacce, quattro per la precisione: la divisione che deriva dall'ineguaglianza economica, il cattivo stato dei rapporti fra le razze, il rifiuto di accettare i fatti e la scienza, l'apatia verso l'impegno politico. Trasparente la diffidenza verso l'ideologia del suo successore: «Se ogni tema economico viene inquadrato come una lotta fra la classe media bianca che lavora duramente e una minoranza che non merita aiuto ha protestato allora i lavoratori di ogni colore saranno abbandonati a combattere per ogni boccone mentre i ricchi si ritireranno sempre di più nelle loro torri private». Sull'immigrazione, ha ricordato un'epoca in cui erano «gli italiani, gli irlandesi, i polacchi» a subire la discriminazione: «Se non investiamo nei bambini degli immigrati perché non hanno il nostro stesso aspetto ha dunque ammonito diminuiremo le prospettive dei nostri stessi figli».
Ha sollecitato i bianchi a capire che gli effetti della schiavitù si continuano a sentire e che quando le minoranze protestano pacificamente «non chiedono trattamenti speciali, ma quella eguaglianza che i Padri Fondatori avevano promesso». Ma ha anche spronato le minoranze a immedesimarsi in quell'uomo bianco (quindi gli elettori di Trump) che può sembrare avvantaggiato «ma vede il suo mondo travolto dal cambiamento economico, culturale e tecnologico».
Ha raccomandato di guardare ai fatti e credere nella ragione e nella scienza, invece che «starsene sicuri nelle nostre bolle» accettando solo le informazioni che si conformano «alle nostre opinioni». Ha sollecitato i giovani a non cedere all'apatia, e ha promesso di continuare a combattere al loro fianco con il titolo più importante che la democrazia americana gli può garantire, «quello di cittadino». Appassionato e tenero l'omaggio a Michelle: «Moglie, madre dei miei figli, la mia migliore amica. Una nuova generazione mira più in alto perché tu sei il suo modello». Affettuoso verso Joe Biden: «Il mio vicepresidente, ma anche mio fratello», e verso i suoi collaboratori, con i quali ha potuto dimostrare «Yes we can. Yes we did». Tutta Chicago era in festa martedì sera, ricordando quella sera del 4 novembre 2008 quando un quarto di milione di persone si raccolse intorno allo spilungone presidente eletto per una memorabile festa lungo il lago. Martedì però c'era aria anche di malinconia nell'addio al primo presidente afroamericano che il 20 gennaio lascerà per sempre la Casa Bianca.
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