Romano Prodi: «Shimon Peres ha sempre lottato per la pace, era ascoltato ma non seguito»

Giovedì 29 Settembre 2016 di Marco Ventura
Romano Prodi: «Shimon Peres ha sempre lottato per la pace, era ascoltato ma non seguito»
Dieci anni sono passati da quella stretta di mano tra Romano Prodi premier e l’allora vicepremier israeliano Shimon Peres che ringraziava, era l’agosto 2006, per l’invio dei caschi blu italiani a fare da cuscinetto in Libano tra israeliani e Hezbollah, e sull’Italia «nota nel mondo come costruttrice di ponti».

L’ex presidente del Consiglio ha vivo il ricordo di quei «rapporti intensi», gli ultimi ufficiali prima di incontrare Peres in convegni e avere con lui conversazioni private: «Mi colpiva quel suo modo interessante di alternare analisi politica e aneddotica».

Aneddotica? Per esempio?
«Una delle ultime volte mi ha parlato per mezz’ora dell’idea di fare un grande canale dal Mar rosso al Mar morto in modo da sfruttare la caduta di acqua per dare energia e irrigare il deserto. Mi spiegava che siccome poi l’acqua evaporava, il canale poteva continuare a buttare acqua all’infinito, così tutto il deserto avrebbe preso vita. Era un personaggio speciale, con una vita politica intensissima, durissima, iniziata in kibbutz e da militare».

Che cos’altro la colpiva di lui?
«Aveva partecipato al programma nucleare, ufficialmente negato. Poi fu il simbolo delle trattative con la Palestina, fino a ricevere il Nobel della Pace per i negoziati di Oslo del ’93 da ministro degli esteri. Fu lui che cercò di spingere il più avanti possibile il disegno di una pace tra due Stati». 

Era anche un visionario?
«È così. Basti pensare a quella sua idea di edificare il Paradiso terreste scavando un grande canale verso il Mar Morto. Interessante questo suo doppio aspetto di militare e di visionario».

Che cosa avevate in comune?
«La missione in Libano ci aveva particolarmente legati. Quella missione ha cavato d’impaccio siriani, israeliani, tutti, come quando c’è una lite in cui tutti ci perdono e arriva qualcuno autorevole che mette la pace. Si era arrivati a un soffio da una guerra terribile. L’Italia aveva una comunanza di obiettivi con Israele e ugualmente con i leader palestinesi…».

Peres amava l’Italia?
«Veniva sempre volentieri, non mancava ad alcuna riunione Ambrosetti, stava lì i due giorni, per lui era un’occasione di incontri, di passeggiate al lago di Como, di discorsi politici in libertà. La conversazione era libera, ma ci teneva a dire che erano sue riflessioni personali, ormai era un padre della patria che esercitava una grandissima influenza morale ma senza più il comando… Aveva l’autorità, non il potere. Il suo modo di discorrere era cambiato: erano più riflessioni che discorsi operativi. Non era contento del mondo come era stato disegnato. Sembrava rassegnato: era ascoltato ma non seguito». 

Il sogno della pace si era infranto?
«Le prospettive di pace in Medio Oriente sono così esigue che non ci prova più nessuno, l’agenda dei rapporti tra Israele e Palestina è scomparsa dalle prime pagine per una sorta rassegnazione». 

Anche in Europa c’è poco da fare?
«È sotto gli occhi di tutti quanto poco l’Europa influisca sul problema palestinese, come se non si potesse più fare nulla. L’Europa è frantumata: nord contro sud, est contro ovest, ognuno per conto suo. Assume una sua importanza pure il ‘gruppetto di Visegrad’ (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, ndr). Di fronte a queste divisioni, quattro paesi si mettono assieme e fanno un gruppo, poi si ritrovano a Ventotene in tre (Germania, Francia e Italia, ndr), la Merkel fa i suoi giri da sola nell’Est e infine si ritrovano in Slovacchia in due…».

È rassegnato e pessimista anche lei?
«Rassegnato no. Non avendo più potere, mi rimane solo il dovere di insistere. È un obbligo morale quello di ricordare che così si finisce tutti male. Queste divisioni ci porteranno prima all’irrilevanza, e ci siamo già, poi alla miseria». 

Come uscirne?
«La via d’uscita è una sola, è l’unità dell’Europa, ma il cambio di strada lo può imprimere solo chi ha in mano il volante, ossia la Germania, siamo realisti! Purtroppo il governo tedesco non sembra avere un volante ben oliato, fatica a riprendere il ruolo, a capire che leadership significa farsi carico degli interessi di tutti».

È giusto l’approccio assertivo dell’Italia con la Germania e l’Europa, a costo di isolarsi?
«Quando il pericolo è dato dal fatto che ognuno va per conto suo, il problema non è l’Italia, la Francia, la Germania. Davanti al frazionamento, ognuno farà in modo di cercare che l’ultimo della fila, la pecora zoppa mangiata dai lupi, sia un altro…».
Il presidente Ciampi diceva che questa Italia non era quella che aveva sognato…
«Quante volte me lo ha detto negli ultimi tempi! Né lui né io ci siamo mai pentiti del grande sforzo fatto per consolidare l’Europa e inserirvi l’Italia, perché nel mondo globale l’unità è l’unica salvezza». 
L’Italia tornerà ad avere un ruolo effettivo?
«Nessun paese può averlo in modo separato, il ruolo si guadagna costruendo alleanze e c’è sempre la possibilità di farlo».
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