Quirinale e Gentiloni dietro la frenata del Pd

Venerdì 7 Aprile 2017 di Alberto Gentili
Quirinale e Gentiloni dietro la frenata del Pd
«Non è vero che Renzi ha frenato. Semmai ha bacchettato e corretto la linea di chi il giorno prima parlava di crisi». A sera, dopo che l’ex premier in meno di ventiquattr’ore è passato da un ritorno di fiamma per le elezioni anticipate a un «non voglio neppure sentir pronunciare la parola crisi, Gentiloni va sostenuto e incoraggiato», Michele Anzaldi boccia senza appello l’ipotesi della frenata. «Piuttosto Matteo ha dato una tirata d’orecchie a tutti», garantisce il responsabile della comunicazione renziana.

Vero. Perché ufficialmente mercoledì, dopo «l’agguato» che in commissione Affari costituzionali del Senato ha portato all’elezione a presidente del centrista - e proporzionalista - Salvatore Torrisi, Renzi non ha pronunciato parola. Ma è altrettanto vero che la correzione di rotta del Pd e del suo leader è agli atti. La parola «crisi» archiviata. La voglia di elezioni rimessa precipitosamente nei cassetti. La tensione con Paolo Gentiloni e con Sergio Mattarella stemperata. Almeno per il momento.

Ciò è accaduto perché, dopo l’iniziale arrabbiatura che l’aveva spinto a spedire il reggente Matteo Orfini e il suo coordinatore Lorenzo Guerini a palazzo Chigi per denunciare «la crisi della maggioranza», Renzi ha messo a fuoco che l’eccesso di drammatizzazione dello smacco subìto in Senato era controproducente. 

Paolo Gentiloni, di solito mite e felpato, ha infatti fatto presente al suo amico Matteo che in quelle condizioni non poteva andare avanti. Ergo, datevi una calmata. Ha chiesto all’ex premier a quale gioco stesse giocando. E ha detto che per lasciare palazzo Chigi a lui sarebbe bastata una telefonata, non tutta quella messa in scena con urla e strepiti per una questione che riguardava le dinamiche parlamentari. 

Anche il Quirinale, per canali riservati, si è fatto sentire. Adesso dal Colle tirano un respiro di sollievo: il caso è chiuso, la questione è tornata sui giusti binari. Ma prima dell’abiura di Renzi alla parola crisi, diversi ambasciatori hanno fatto presente che l’eccesso di drammatizzazione per l’incidente in Senato era un errore. Soprattutto, hanno ricordato che mai e poi mai il capo dello Stato avrebbe sciolto il Parlamento per le beghe interne e al Pd e senza aver prima controfirmato una nuova legge elettorale con l’armonizzazione dei sistemi elettorali di Camera e Senato. Della serie: non sognatevi di andare a votare in autunno, si consegnerebbe il Paese a un’instabilità perenne.

I PACIERI DEM
Nel Pd, poi, hanno spiccato il volo numerose colombe. Di buon mattino Maurizio Martina, Graziano Delrio, Matteo Richetti hanno consigliato a Renzi di mettere da parte l’artiglieria. Perché «Alfano ha fatto tutto il possibile per rimediare al pasticcio cercando di far dimettere Torrisi». Perché non è pensabile adesso buttare giù Gentiloni, «la nostra gente non capirebbe». E perché, appunto, è inutile cercare la crisi: Mattarella non ci darebbe le elezioni anticipate.

Così a sera, dopo che Renzi ha riunito i suoi parlamentari chiudendo la querelle, Guerini indica la nuova linea: «Ciò che è accaduto era grave e resta grave, con l’elezione di Torrisi sono stati messi in discussione la lealtà e il vincolo di maggioranza. Dopo di che, considerata anche la pronta reazione di Alfano, mettiamo questa vicenda alle spalle. Ma annotiamo che un fronte frastagliato ed eterogeneo, unito solo dalla voglia di proporzionale, si è saldato eleggendo Torrisi. A questo punto i guastatori del cambiamento si assumano la responsabilità di fronte al Paese di avanzare una proposta. Vediamo cosa riusciranno a produrre».

DOPPIO PASSO INDIETRO
Un vero e proprio disarmo. Sul fronte delle elezioni anticipate, nonostante l’iceberg della legge di stabilità d’autunno resti decisamente minaccioso come ha dimostrato lo scontro di martedì con il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. E anche su quello della legge elettorale: «Ormai è una missione impossibile», allargano le braccia i renziani. Dunque, addio al sistema maggioritario del Mattarellum. E addio (o quasi) all’idea di trasferire l’Italicum della Camera anche al Senato: «I Cinquestelle sono contro i capilista bloccati, Berlusconi vuole il premio di coalizione e non di lista, Alfano chiede di abbassare le soglie di sbarramento. Proposte tra loro inconciliabili. Con chi si fa l’accordo?! Adesso, almeno, è però chiaro che la responsabilità di trovare una soluzione non è più solo sulle spalle di Renzi e del Pd».

 
Ultimo aggiornamento: 8 Aprile, 01:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA