Nelle banche 22mila esuberi

Domenica 27 Agosto 2017
Alle spalle c'è uno tsunami. Ma per la verità, anche a voler guardare avanti l'onda lunga della crisi e di una tecnologia che impone il cambiamento nel modello di business delle banche, non promette molto meglio per il futuro se si guardano i numeri, tra dipendenti e sportelli, che perderà il settore. Eppure c'è chi come il segretario della Fabi, Lando Sileoni, di «ecatombe» dell'occupazione non ne vuole proprio sentire parlare. «In tutta Europa ci sono stati migliaia di licenziamenti», fa notare, «qui in Italia non se ne vede l'ombra. Il settore sta gestendo la trasformazione con prepensionamenti e pensionamenti volontari». C'è una bella differenza, insomma.
Le cifre dicono che in tre anni l'industria bancaria italiana ha perso 12 mila posti di lavoro, tra uscite volontarie e nuove assunzioni. Quasi 1.700 gli sportelli tagliati (sono circa 7.000 le filiali cancellate rispetto alla fine del 2009). Solo un assaggio di quello che affronterà il settore nei prossimi anni visto che, piani industriali alla mano, i principali gruppi bancari italiani hanno messo in cantiere tagli del personale per oltre 22 mila unità, secondo i dati elaborati dalla Fabi, con la consolazione di poco più di 4 mila assunzioni stimate. Un passo obbligato, dicono le banche. Perché oltre a occuparsi dei paletti più o meno condivisibili imposti dall'Europa con un occhio alla congiuntura (tra rafforzamento del capitale e presidio della liquidità) gli istituti italiani vanno a caccia della redditività perduta. Un'impresa non facile lì dove alla crisi strutturale del sistema bancocentrico si è poi aggiunta la nota contingente dei tassi d'interesse praticamente a zero, una mannaia per i margini. Senza contare che a non far quadrare i conti in banca di questi tempi è anche l'avanzata di una tecnologia che non fa sconti. La disintermediazione bancaria e la migrazione di interi settori di business, sono qualcosa di esplosivo se sommati alle esigenze di ristrutturazione di banche ancora zavorrate dalle sofferenze.
Il governo ha messo mano al portafoglio per circa 9 miliardi, considerando il salvataggio delle quattro banche (Etruria, Marche, CariChieti e Cariferrara, l'operazione Mps, e il dossier della Popolare di Vicenza e Veneto Banca). Una questione di «sistema», si è detto dalle parti di Palazzo Chigi. E chissà che anche il clima sui crediti a rischio sia davvero arrivato a un punto di svolta dopo che Bankitalia a giugno ha stimato una riduzione di 10 miliardi dello stock di sofferenze lorde (a 192 miliardi) e di 5 miliardi di quelle nette (a 71,2 miliardi).
Nel frattempo la svolta del settore, come già detto, è legata anche a una nuova geografia dei dipendenti del mondo bancario (circa 311 mila). Dal 2013 al 2015 sono usciti, attraverso pensionamenti e prepensionamenti volontari e incentivati, 32.096 dipendenti. Contestualmente sono stati assunti in banca 21.574 giovani, di cui più della metà, 12.240, attraverso il Fondo per la nuova occupazione. Dal 2012 al 2016, cioè in quattro anni, nei primi cinque gruppi bancari, che impiegano oltre la metà dei lavoratori bancari in Italia, Unicredit, Intesa Sanpaolo, Mps, Ubi e Banco Popolare, sono stati bruciati 12.217 posti di lavoro, mentre le assunzioni si sono attestate a quota 6.383, grazie agli accordi raggiunti con le organizzazioni sindacali di categoria.
E il futuro? Delle oltre 22 mila uscite volontarie previste, un pezzo importante è legato al piano di Mps al 2021, con 5.500 uscite, di cui 600 già previste dal precedenti accordi sindacali. Seguono a ruota i 3.900 esuberi di Unicredit e altrettanti di Intesa Sanpaolo, che comprendono i 1.000 delle Banche Venete. Poi, tra i principali gruppi ci sono Ubi (2.750 uscite da aggiungere a 1.500 di Marche, Etruria e Carichieti) e Banco Bpm (1.800 uscite).
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