Scappati dalla fame e dalla povertà delle vallate bellunesi sono finiti in

Mercoledì 7 Giugno 2017
Scappati dalla fame e dalla povertà delle vallate bellunesi sono finiti in terra croata dove hanno trovato altrettanta povertà in un paese in mezzo ai boschi senza nemmeno un nome. Plostina vuol dire appezzamento di terra. Ma se adesso i pochi anziani sopravvissuti hanno ormai bisogno di quelli di Longarone e dintorni - perché da soli non riescono più a tenere i ferai delle processioni, cioè le luci per Madonna e santi - un'eredità l'hanno lasciata a tutto il Nordest.
Un bene prezioso è quel dialetto con la valigia, come ha scritto Gianna Marcato, raccolto da Guido Barzan in Viaggio a Plostina edito da Cleup (16 euro). E' una valigia di cartone quella che si mosse su un carro nel 1880, direzione Croazia (allora Austria): un mese di cammino prima di arrivare in mezzo ad un bosco, quasi senza strade. E il carro venduto per comprare cibo. Plostina non si trova quasi in internet. Sta a 500 chilometri da Ponte delle Alpi e Longarone, i comuni da dove sono partiti i primi emigranti. La storia che Guido Barzan ha raccolto - il lavoro nasce dalla sua tesi in linguistica ed è stato premiato dai consiglieri regionali - supera le vertigini del tempo. Una sola parola antica, ad esempio: a Plostina il bimbo che lavorava i mattoni assieme agli adulti era chiamato, in dialetto nonzol. Nonzolo venne usato fino a pochi decenni fa da Trieste a Rovigo per indicare il sacrestano.
Barzan nel 2013, e nei viaggi che sono seguiti - ha spiegato Marcato ha ritrovato a Plostina ancora viva una nicchia di dialettalità sconvolgente per la sua conservatività, ed estrema residualità». Stevo Arland e la moglie Antonia Tomè, Maria Moro, Anna Bortoluzzi, Caterina Pierobon, con la vivezza della loro forte personalità e dei loro ricordi riempiono il registratore di Barzan che riporta quelle voci della Slavonia. Quando hanno sentito che uno parlava dialetto quasi come loro mi hanno aperto tutte le porte, ricorda lo studioso, la cui ricerca si è mossa dopo che si è trovato in classe gli adolescenti fuggiti dalla guerra dei Balcani per tornare nel Bellunese degli avi.
Barzan non è solo linguista, sa raccontare la vita e scopre che a Plostina chiamavano la puerpera pajonada ad indicare che ogni spazio delle case doveva essere chiuso con paglia per salvaguardia, non solo igienica. Conclude Marcato: La morte di un dialetto apre una voragine di silenzi da cui non è più recuperabile la voce dei protagonisti di una storia non scritta. Questo libro-valigia restituisce dignità a una comunità che non va dimenticata.
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