Museo Egizio, scoperta la mummia di Nefertari

Mercoledì 7 Dicembre 2016
Museo Egizio, scoperta la mummia di Nefertari
Nefertari potrebbe prendersi la sua rivincita, grazie alla speciale liaison da terzo millennio tra archeologia e tecnologia. L'ultima adorata bellissima moglie di Ramses II, faraone mito di quell'antico Egitto d'oro ricco e potente, ha conquistato ieri la ribalta mediatica per una notizia che in poco tempo ha conquistato il mondo. Un'équipe internazionale di archeologi e studiosi sotto l'egida dell'università di York ha annunciato di aver identificato la mummia della regina egiziana. Alla base della rivelazione c'è uno studio rivoluzionario multidisciplinare, pubblicato sulla rivista scientifica Plos One, che ha coinvolto per la prima volta i resti umani mummificati (nel dettaglio, due gambe) conservati da oltre cento anni sotto una teca nel Museo Egizio di Torino, provenienti dalla leggendaria Tomba di Nefertari scoperta nel 1904 dall'allora direttore del museo torinese, l'archeologo italiano Ernesto Schiaparelli.
Ma a Torino in queste ore, l'entusiasmo è scortato dalla cautela. «Di fatto, si tratta di una coppia di reperti, ossia due ginocchia, che noi abbiamo sempre esposto nella sala dedicata a Nefertari - ci tiene a precisare il direttore del museo Christian Greco - Da alcuni anni un team di studiosi che comprende radiologi, esperti di mummificazione, esperti di esami al C14, chimici, ha analizzato questi resti per la prima volta e sono riusciti ad arrivare ad alcune conclusioni importanti». Come sottolinea Greco, da punto di vista chimico sono riusciti a capire che questa mummia è compatibile con un procedimento di mummificazione avvenuta nel Nuovo Regno, in linea cioè con i metodi usati nel XIII secolo avanti Cristo.
È la data che crea, però, un gap interpretativo. Le analisi al Carbonio 14 offrono infatti un range del 95% di datazione dei resti tra il 1650 e il 1450 a.C. «Siamo nel Nuovo Regno ma in un periodo anteriore a Nefertari», precisa Greco, visto che la regina è ricollocabile al 1250 a.C. L'identikit, però, ha i suoi punti di forza. «Sono state identificate all'inizio ben due tracce di Dna - dice Greco - di cui una, però, oggetto di contaminazione, ma l'altra, isolata, ha consentito di capire che le due gambe appartengono ad un solo individuo». Ancora un passaggio. Gli esami osteologici sulla composizione delle ginocchia hanno identificato il sesso femminile dell'individuo sepolto. «Per concludere, quello che possiamo dire oggi è che le ossa appartengono ad una donna vissuta nel Nuovo Regno. La datazione al C14 sfasa al momento di 200 anni.
Perché i presunti resti di Nefertari sono a Torino? La vicenda affonda le radici all'alba del Novecento, nell'epopea di quelle missioni condotte nel nome di un Re e non più della Chiesa. L'allora direttore Schiaparelli che stava conducendo un'impresa di scavo nella Valle delle Regine, trovò la Tomba di Nefertari rivestita di pareti magistralmente dipinte. Una meraviglia che l'archeologo volle replicare subito con un modello in scala 1 a 10 ancora conservato al museo. Tanti e suggestivi erano gli indizi che rimandavano al nome della famosa regina, compreso il coperchio del sarcofago regale, oltre alle 34 statuette funerarie votive in parata che la evocavano. E trovò anche le due gambe.
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