Un menu ancora piuttosto aperto, ma con un paio di punti fermi: limitare al massimo

Martedì 24 Maggio 2016
Un menu ancora piuttosto aperto, ma con un paio di punti fermi: limitare al massimo l'impatto sul bilancio pubblico e differenziare le formule di pensione flessibile in base a reddito e condizione del lavoratore interessato. Con questo schema il ministro del lavoro Poletti e il sottosegretario alla presidenza Nannicini si presentano stamattina ai sindacati, per la riunione con la quale riprende ufficialmente il confronto in tema di previdenza. I tre segretari di Cgil, Cisl e Uil da parte loro proporranno una piattaforma che include anche altri punti ma soprattutto, in tema di flessibilità, prevede la possibilità di lasciare il lavoro senza decurtazioni dell'assegno e senza vincoli legati all'aspettativa di vita, una volta raggiunti i 41 anni di contribuzione: un meccanismo più favorevole dell'attuale pensione anticipata, che guarda un po' indietro alla vecchia anzianità di fatto soppressa con la riforma Fornero.
Dunque le posizioni almeno in partenza appaiono distanti ed è probabile che il primo incontro sia abbastanza interlocutorio, per proseguire poi magari a livello tecnico con tavoli più specifici. Ma la stessa proposta di anticipo pensionistico basata sul prestito (per la quale è stata coniata la sigla Ape) contiene ancora diversi punti da definire. Tra gli elementi certi c'è la platea: in prima battuta coinciderà con i nati negli anni 1951, 1952 e 1953 che finora non hanno potuto accedere alla pensione a causa dei nuovi requisiti introdotti nel 2011. In seguito il meccanismo diventerà strutturale e quindi toccherà via via coloro a cui mancano tre anni o meno per raggiungere l'età della vecchiaia.
Ma quale sarà la possibilità offerta a queste persone? Sostanzialmente si tratterà di un prestito da parte delle banche o delle assicurazioni, erogato sotto forma di somma mensile come se fosse un reddito. Successivamente, una volta maturati i requisiti pieni, questo importo sarà restituito a piccole rate che andranno a decurtare la pensione. Solo la spesa per interessi andrebbe a carico del bilancio pubblico. Già a questo punto si apre un bivio. La prima opzione è lasciare all'interessato la scelta della somma, a partire da una certa soglia minima (ad esempio il 70 per cento della pensione a cui si ha diritto) e quindi anche di un successivo onere variabile. La seconda prevede invece uno schema più rigido, con importi fissi derivanti dal livello di penalizzazione economica a regime. Nel primo caso l'operazione somiglierebbe del tutto ad un mutuo, con una scadenza fissata intorno a 20 anni e lo Stato chiamato a prendere su di sé il rischio di premorienza dell'interessato. Nel secondo invece la decurtazione potrebbe essere perpetua. Non è nemmeno del tutto escluso che le due soluzioni possano essere offerte alternativamente.
L'altro nodo da sciogliere riguarda la possibile graduazione della penalità. Alla fine la differenziazione potrebbe essere fatta in base al reddito, con due o tre scaglioni diversi e tagli fino a un massimo del 4 per cento.
Un altro tema caldo dell'incontro dovrebbe essere la proposta di estensione alle pensioni minime del credito di imposta da 80 euro al mese attualmente riconosciuto ai lavoratori dipendenti con reddito basso e medio-basso. Un'ipotesi a cui ha accennato lo stesso Renzi ma che deve essere valutata attentamente nei suoi costi effettivi.
© riproduzione riservata

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci