Sconforto e mutismo alla Difesa, sommersa dalle indiscrezioni sulla pista delle

Lunedì 4 Aprile 2016
Sconforto e mutismo alla Difesa, sommersa dalle indiscrezioni sulla pista delle «navi in cambio di appalti» che chiama in causa il capo di Stato maggiore della Marina, ammiraglio Giuseppe De Giorgi. Aleggia dietro i silenzi la frustrazione, lo scoramento per l'impegno profuso nel condurre in porto, è il caso di dire, il “programma navale” con l'ammodernamento della nostra flotta, e i costi di quella fatica. Frustrazione che ha ragioni diverse al ministero e al Palazzo della Marina. Negli ambienti della Difesa si fa notare che proprio il ministro, Roberta Pinotti, ha fortemente voluto il “libro bianco” (presentato il 21 aprile 2015) che riscrive la politica degli investimenti in una direzione che non è certo quella degli sprechi e delle spese folli. Anzi, il problema è che le diverse Armi hanno continuato ad avere una larga autonomia decisionale e a rivaleggiare l'una con l'altra nella distribuzione e nell'uso delle risorse.
E la Marina, in particolare, ha sempre goduto di uno status speciale. Qualcuno fa notare che l'Italia è un caso unico tra i Paesi comparabili col nostro, avendo ben due portaerei... «Troppe». Il “libro bianco” ridisegnava una strategia della difesa ridotta rispetto al passato, il sostanziale disimpegno da scenari non prossimi e un progressivo ripiegamento sulle aree di nostro reale interesse. In una parola: il Mediterraneo.
E poi, c'era il problema strutturale della “Legge navale”: i finanziamenti per sostituire la flotta da ridiscutere e sbloccare anno per anno, costringendo vertici militari e ministero a estenuanti trattative. Nel giugno 2015, per esempio, la Pinotti poté annunciare che gli investimenti per la difesa sarebbero stati decisi dal 2020 con una legge pluriennale con un ciclo di 6 anni, «essendo la stabilità delle risorse assegnate nel tempo – recitava il libro bianco – un fattore essenziale per assicurare la corretta pianificazione d'utilizzo delle stesse, perché oggi ci sono autorizzazioni separate su ogni programma». Diverse le recriminazioni (bisbigliate) della Marina. L'ammiraglio De Giorgi ha condotto alla luce del sole una vera battaglia per rendere la flotta sempre più efficiente, e non solo per fini geo-strategici e militari, ma anche di protezione civile. Nel 2013, quando fu nominato capo di Stato maggiore, si ritrovò con navi vecchie (51 su 60 votate al disarmo). L'emergenza Isis e quella migranti lo aiutò a ottenere dal Parlamento uno stanziamento di 5.6 miliardi di euro. Ci si concentrò all'inizio sui pattugliatori polivalenti, in grado di far salire a bordo più facilmente i migranti e di portare elettricità, acqua e assistenza medica in un «villaggio di 6mila abitanti» (l'esempio era di De Giorgi) colpito da un'alluvione o eruzione e comunque difficilmente raggiungibile se non via mare. Ma neppure quegli oltre 5 miliardi secondo l'ammiraglio sarebbero bastati. «Ce ne vogliono altri 5 – disse – per dare alla Marina una capacità navale adeguata a svolgere gli impegni del Paese».
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