«Quando Maniero tentò di vendere solo aria fritta»

Lunedì 24 Ottobre 2016
Il procuratore della Repubblica di Belluno, Francesco Saverio Pavone, replica alla verità che l'ex boss della Mala del Brenta, Silvano Maritan ha affidato a un'intervista pubblicata ieri sul Gazzettino. Pavone a cavallo tra gli anni 80 e 90 era giudice istruttore a Venezia e seguì passo a passo le vicende di Felice Maniero e della sua banda. Maritan afferma, ad esempio, che dietro la morte di Paolo Bogo non ci siano i fratelli Massimo e Maurizio Rizzi ma Felice Maniero. Il motivo: Bogo collaborava con i magistrati. «Bogo ci aveva fatto solo qualche piccola confidenza. Lui era tra quelli che avevano imposto le tangenti ai cambisti del Casinò di Venezia. Uscito dal carcere voleva ritornare nel giro delle tangenti, reinserendosi anche del traffico di droga. Ma nel frattempo erano i Rizzi ad avere il predominio nel Veneziano. Loro lo fecero fuori». Ovviamente le opinioni di Pavone sono diametralmente opposte rispetto a quelle di Maritan.
A detta di Maritan un fascicolo secretato su Bogo dalla segretaria di Pavone arrivò per sbaglio nelle mani di Maniero, attraverso il suo avvocato. «Nessuna segretaria, con me solo un maresciallo dei carabinieri. E nessun fascicolo venne consegnato all'avvocato Anselmo Boldrin».
Ancora Maritan sostiene che Maniero, mentre si trovava in carcere a Fossombrone, fece sparare una raffica di mitra contro casa sua per avere la scusa di comunicare con un magistrato. «Ricordo esattamente i fatti, era il 1987. L'avvocato mi fece leggere una lettera che gli aveva inviato Felice. Saranno state le due di pomeriggio. C'era scritto Questa carogne, non so per che motivo lo abbiano fatto, se avessi per le mani un giudice direi ciò che so sull'episodio».
Lei partì immediatamente per il carcere di Fossombrone, tre ore d'auto con il comandante del reparto operativo di Venezia. «Era l'allora maggiore Curatoli, oggi generale di divisione. Maniero, però, mi disse solamente ho risolto tutto. Forse aveva già chiarito con la madre che andava a trovarlo o con il cugino Giulio o con la vedova di Radetich. Mi parlò solo di alcuni mafiosi siciliani con cui aveva rotto. Di fatto le sue informazioni erano aria fritta».
Gino Causin, uno dei mestrini che decisero per l'uccisione dei fratelli Massimo e Maurizio Rizzi e di Gianfranco Padoan, non merita l'ergastolo. Ha ragione Maritan? «Ho seguito l'indagine istruttoria, ma non ho partecipato al dibattimento per gli omicidi. Certo è che per l'omicidio di Rizzi l'intera banda era consenziente. Anche se non tutti presenti all'uccisione».
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