Ondate di richieste che intasano la rete

Sabato 22 Ottobre 2016 di E a luglio pirati cinesi sono riusciti a colpire con un virus un computer a bordo di una portaerei
Due ore di blocco totale degli accessi, due ore di oscuramento per i siti e i servizi più popolari del web. Hacker anonimi hanno attaccato ieri di prima mattina il server americano Dyn, una sorta di centralino elettronico che collega ogni utente che digita un indirizzo di internet sul suo computer, alla pagina richiesta. Gli abitanti della costa atlantica negli Usa al risveglio hanno trovato la porta chiusa quando hanno provato a leggere le notizie della Cnn e del Financial Times, del New York Times, del britannico The Guardian e della rivista Time. Niente acquisti su Amazon eBay ed Etsy, niente musica su Spotify; spento il proiettore di Netflix, spenta anche la Playstation.
I pirati stavano bombardando Dyn con una valanga di richieste di accesso fittizie, che investivano a ondate il server fino a mandarlo in tilt. Per lunghi periodi e per la durata di due ore, le pagine più popolari del web, frequentate da milioni di utenti americani, sono rimaste chiuse: i visitatori ricevevano un segnale di DDoS (Distributed Denial of Service: rifiuto di servizio) che ha generato equivoci e numerose proteste.
Non ci sono prove che puntino verso i responsabili della violazione, ma la tenue traccia che la lega ad attacchi precedenti è tale da destare la massima preoccupazione. La tecnica usata è simile a quella messa in atto lo scorso settembre contro il giornalista investigativo Brian Kreb, il quale aveva appena collaborato con l'Fbi per l'identificazione e l'arresto di due israeliani, due sicari di Internet che lanciavano attacchi a pagamento. La Dyn ha collaborato con Kreb per difendere il suo sito dagli attacchi, e il sabotaggio di ieri ai danni della Dyn potrebbe essere un atto di ritorsione da parte degli hacker infastiditi dagli arresti.
Quello che spaventa in questa ricostruzione è la totale sproporzione che potrebbe esserci tra il livello dei pirati e la portata dei danni che sono in grado di provocare. Una sproporzione che in questi giorni è sotto gli occhi di tutti con l'influenza indebita che lo spionaggio cibernetico russo sta avendo sul processo elettorale americano. La Homeland Security ha aperto un'indagine per fare chiarezza sull'accaduto.
Un altro esempio della debolezza degli Usa di fronte alla pirateria elettronica si è avuto ieri con la rivelazione fatta al Financial Times dai tecnici della FireEye, un'azienda statunitense specializzata in sicurezza informatica. Questi ultimi hanno detto che lo scorso 11 di luglio hacker, probabilmente cinesi, sono riusciti a infiltrare con il malware Enfal il computer di un funzionario straniero a bordo della portaerei Ronald Regan, in pattuglia nel Mare cinese meridionale. L'obiettivo era carpire i segreti della strategia della Marina americana nella regione, e non è chiaro se il tentativo è riuscito.
La beffa è che l'infiltrazione è avvenuta il giorno prima del pronunciamento del tribunale dell'Aia, che ha poi condannato le pretese territoriali di Pechino nel mare Cinese meridionale, motivo dell'intrusione della portaerei americana nell'area. La sentenza era stata richiesta dal presidente filippino Benigno Aquino, ma dopo le elezioni estive il suo successore Rodrigo Duterte ha insultato a più riprese gli americani e il loro presidente Obama, fino a rinnegare l'alleanza che legava le Filippine a Washington.

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