NEW YORK - Basta con embargo delle armi verso Hanoi. Barack Obama dopo 50 anni chiude

Martedì 24 Maggio 2016
NEW YORK - Basta con embargo delle armi verso Hanoi. Barack Obama dopo 50 anni chiude l'ultimo capitolo della guerra del Vietnam e spazza via uno degli ultimi muri della Guerra Fredda. Ancora una storica svolta dopo il disgelo con Cuba e le aperture verso l'Iran. Svolta che rende ancor più pesante l'eredità in politica estera del presidente americano.
Nel suo decimo viaggio in Asia da quando è alla Casa Bianca, Obama (che dal Vietnam arriverà in Giappone dov'è attesa l'altrettanto storica visita a Hiroshima) fa dunque cadere un altro tabù: quello che riporta a uno dei conflitti più sofferti e dolorosi della storia Usa.
«È una decisione che è parte di un lungo processo di normalizzazione tra Stati Uniti e Vietnam», ha affermato il presidente americano ad Hanoi, nel corso della conferenza stampa congiunta col presidente vietnamita, Tran Dai Quang.
«E la decisione di togliere il divieto alla vendita di armi - ha sottolineato - non si basa su considerazioni legate alla Cina». Parole, queste ultime, che la maggioranza degli osservatori interpreta come di circostanza.
È difficile credere che l'accelerazione di Obama sulla fine dell'embargo delle armi al Vietnam non sia dettata dalle crescenti tensioni con Pechino. Tensioni che più volte hanno sfiorato lo scontro nel mare Cinese Meridionale, dove il gigante asiatico ha costruito un arcipelago artificiale, espandendo il suo controllo verso l'Oceano Pacifico. E costituendo sempre più una minaccia per tutti gli alleati americani dell'area, dal Giappone alla Corea del Sud passando per le Filippine. Insomma, la mossa nei confronti del Vietnam - al di là delle affermazioni ufficiali - rappresenta di fatto un monito alla Cina.
La decisione di Obama non piace però alle associazioni per i diritti umani, che continuano a protestare con forza per la mancata liberazione dei prigionieri politici in Vietnam e per l'uso della forza contro i manifestanti. «Obama ha dato ad Hanoi un premio che non merita», osserva Human Rights Watch.

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