La sfida di Trump: voto valido solo se vinco io

Venerdì 21 Ottobre 2016
Ci sarebbe stato abbondante materiale per vivaci e costruttive discussioni post-dibattito. Donald Trump e Hillary Clinton hanno affrontato argomenti di grande importanza nel loro ultimo faccia a faccia, dall'immigrazione al terrorismo, dai diritti civili all'economia. E il divario fra loro due è apparso netto. E tuttavia, ieri l'America nella sua quasi interezza, per non parlare dei commenti anche nei Paesi alleati, discuteva unicamente di un'affermazione fatta da Trump, sul rispetto dei risultati della convocazione elettorale dell'8 novembre. Incalzato dal moderatore, il giornalista della Fox Chris Wallace, Trump si è rifiutato di promettere che accetterà senz'altro il verdetto delle urne. Ieri mattina, in un comizio in Ohio è sembrato che volesse fare parziale marcia indietro, infatti prima ha scherzato che se vincerà lui, non farà nulla, ma poi ha aggiunto se ci fosse «un risultato discutibile», si riserverebbe il diritto di iniziare un ricorso legale.
Un ricorso legale in caso di elezioni risicatissime non sarebbe una stranezza: dopotutto è avvenuto nel 2000, nella contesa fra George Bush e Al Gore. Crea allarme però, quando queste parole sono dette da Trump, per il fatto che negli ultimi mesi l'imprenditore ha sostenuto che le elezioni sono già «truccate», e che una perversa alleanza composta dai media, Wall Street, l'establishment politico washingtoniano e Hillary Clinton sta cercando di minare la sua candidatura, per cui sarà necessario «controllare i seggi». Il timore dunque è che all'indomani del voto Trump possa agire in modo destabilizzante se non apertamente eversivo. In questa sfida si trova però solo.
In campo democratico, il vicepresidente Joe Biden ha protestato: «Nel mettere in discussione il risultato di un'elezione democratica, Trump mette in discussione la base della nostra stessa democrazia». Il noto commentatore conservatore Charles Krauthammer a sua volta è stato lapidario: «Trump ha commesso un suicidio politico». Ed è effettivamente lecito chiedersi perché il candidato repubblicano abbia lanciato questa sfida, considerato che ha bisogno di sfondare il tetto del 40 per cento di approvazione se vuole ancora sperare di avere una chance di vittoria fra 17 giorni. Sfidare il pubblico, per di più con un tono «di disprezzo», come ha sottolineato l'opinionista Howard Fineman, difficilmente gli conquisterà il voto di quegli elettori che ancora non hanno deciso.
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