L'EGITTO FRENA

Lunedì 8 Febbraio 2016
(...) esponenti di governo e parlamentari italiani, perché il Cairo collabori e non pensi di poter confezionare versioni di comodo sull'uccisione di Giulio Regeni. Anche l'ambasciatore italiano in Egitto, Maurizio Massari, collegato con “In mezz'ora”, riconosce ad Al Sisi di essere «riuscito a smuovere col suo intervento la macchina amministrativa egiziana», il giorno prima del ritrovamento del corpo lungo l'“autostrada del deserto” per Alessandria.
Un ambasciatore, soprattutto in un frangente così delicato, non parla mai senza autorizzazione. E non dice mai altro che le “norme di linguaggio” concordate con Roma. L'Italia quindi confida che dopo avere sbloccato le ricerche del corpo, Al Sisi assuma pure l'unica decisione “conveniente” per chiudere il caso: confessare. Qui, però, sta la diversità di vedute tra Italia ed Egitto. La consapevolezza di condividere interessi economici, politici e geo-strategici per la stabilità del Mediterraneo appartiene a entrambi i governi. Ma l'Egitto rivendica la propria autonomia d'inchiesta, denuncia la fretta italiana nel giungere a conclusioni che chiamano in causa forze della sicurezza egiziana, e insinua una possibile verità diversa che porta magari alla criminalità comune. Significativo il fastidio col quale il ministro degli Esteri, Hassan Shoukry, ha criticato la decisione italiana di interrompere la visita al Cairo del ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi («Non vedo il rapporto – ha detto al “Corriere della Sera” – tra le responsabilità e gli obiettivi di quella delegazione e le circostanze di natura individuale di un tragico evento»).
L'Italia la pensa diversamente, anche per una cultura democratica diversa che per l'Egitto invece è solo una manifestazione “emotiva”. Non usa il bilancino il ministro dell'Interno Angelino Alfano commentando i primi esiti dell'autopsia eseguita a Roma: «È stato qualcosa di inumano, una violenza animalesca. È interesse pieno del presidente Al Sisi collaborare. L'Italia deve battersi per la verità e ottenerla in tempi brevissimi». E qui sta la seconda divergenza importante con il Cairo. L'Egitto non ha alcuna fretta, l'Italia invece è convinta che proprio nel comune interesse e in vista di una piena ripresa della fiducia reciproca, sia necessario chiudere presto il caso con una inequivocabile identificazione dei torturatori e assassini. Realisticamente l'ambasciatore Massari spiega che «siamo alle prime battute dell'inchiesta, capiremo come si sta sviluppando la collaborazione nel giro di qualche settimana». Altro che verità in ore o giorni. La collaborazione stessa «non è da dare per scontata».
Eloquenti le parole di Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Esteri del Senato. «Gli egiziani non si possono permettere di dare all'Italia verità di comodo o manipolare la verità. I rapporti ottimi che noi abbiamo con questo paese, che affronta in prima fila la minaccia dello jihadismo e dell'Isis, non consentono delle vie di fuga. Non ci interessano soluzioni fai da te a 24 ore dall'omicidio. Solo e semplicemente la verità». Ma per l'Egitto potrebbe essere troppo.
Marco Ventura

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