Il secolo di Marcella tra anticonformismo e ricerca del bello

Domenica 21 Luglio 2019
LA STORIA
«Salendo non vedevo case, solo tanti prati. Da dove siete spuntati fuori così numerosi?». Le è bastata una battuta per conquistare il suo uditorio, venerdì sera in piazza a Valmorel. Marcella Pedone è forse l'ultima grande fotografa ancora testimone dell'Italia del primo Novecento. Ha 100 anni, ma sono bazzeccole. «Quella è la mia età anagrafica spiega -, io dentro me ne sento sempre 45», ma a sentirla parlare per ore con grande energia e una memoria inossidabile le si concede anche qualcosa di meno. Venerdì è stata ospite della rassegna Valmorel sotto le stelle accanto alla studiosa di cinema Romina Zanon e al professore universitario Mirco Melanco. Ha parlato di sé, della sua vita, ha raccontato aneddoti su aneddoti straordinari, vissuti lungo un'esistenza sopra le righe. Ha fatto anche fatto ridere, con lo spirito di una ragazzina che si prende in giro. Figlia di una famiglia dell'alta borghesia milanese, alle spalle parenti illustri come lo zio ministro del Governo Giolitti, Pedone ha vissuto sempre tra gli uomini precorrendo i tempi, viaggiande sempre, sperimentando e osando.
Come ha iniziato a fotografare?
«Ero una dannata, volevo l'avventura e a un certo punto, ero giovane, realizzai questo sogno con la mia amica Valentina. Scappammo di casa di notte per andare in Germania a studiare il tedesco. In treno mi derubarono dello zaino, ricordo. In Germania ho comprato la mia prima Rolleiflex. Giravo filmati per la Ferrania sperimentando il colore. Ma poi gli italiani hanno preferito la Kodak e la Ferrania fallì. Non avere alle spalle qualcuno di solido economicamente non mi permise di proseguire nella cinematografia».
È stata lei a scegliere la fotografia o viceversa?
«Era il 1954 quando ho iniziato. Mi sono rivolta alla fotografia perché non potevo più girare cortometraggi. Non ero nata per il mondo pubblicitario, nemmeno per quello della moda. Mi restava solo un campo, molto trascurato, quello della cultura. Si vede che era il mio destino. Ho lavorato molto con i libri scolastici di tutti i livelli e per tante case editrici. Benedico il fatto di aver lavorato in un ambiente così modesto».
Come lavorava?
«Viaggiavo e studiavo tantissimo, erano molto esigenti: agricoltura, geologia, ecologia, scienze forestali, architettura e altro. Solo una volta rifiutai un incarico, quando l'Istituto geografico Deagostini mi chiese di occuparmi di funghi. Ho dovuto assaggiare una infinità di campi e questo ha conferito una pienezza alla mia esistenza tale da compensare i pochi quattrini in tasca».
È una grande conoscitrice delle Dolomiti bellunesi. Ricorda qualche aneddoto?
«Ho conosciuto questi luoghi la prima volta a 19 anni, quando mi presi un esaurimento nervoso e la mia famiglia mi mandò a San Vito per riprendermi. Mi sembrava di stare in una fiaba. Camminavo molto, da un rifugio all'atro e sempre tra i 2200 e i 2500 metri. Conosco bene la valle del Piave, il gruppo della Schiara, i Monti del Sole, la zona di Cortina».
Poi anni dopo è tornata per lavoro, vero?
«Sì, ho passato molti mesi qui, a più riprese. Viaggiavo sempre sola con l'auto e la tenda. Parcheggiavo nei campeggi e da lì mi muovevo nei dintorni per visitare luoghi e fotografare. Sono stata parecchio al lago di Santa Croce, per esempio».
Ha vissuto una vita libera e anticonformista, ma ha mai pensato di sposarsi?
«Mai, ne avevo il terrore. Avevo paura degli uomini perché pretendevano da me una vita disciplinata che io non volevo, o altre pretese di sottomissione. Ho vissuto da femminista pur non avendo mai partecipato a un corteo. Ho precorso i tempi, come con l'auto. Mi vedevo sempre l'unica donna alla guida, gli uomini mi prendevano in giro ma io viaggiavo sempre con auto grosse, loro avevano al massimo la 500 e schiattavano d'invidia».
Le è sempre andata così, donna tra gli uomini, no?
«Sì, lavoravo in un ambiente maschile e spesso non venivo presa sul serio ma scambiata per una spia. Ma io non me la sono mai presa e alla fine sono sempre stata rispettata».
Ha vissuto un'esistenza incredibile, non crede?
«No, non ho fatto nulla di che, pensano sia un'eroina ma io non mi vedo così. La vita è bella e io ho sempre cercato di fotografare il bello, cercando il lato positivo in tutto. Forse trasfiguravo, ma una cosa voglio dire a tutti: che sia bella o brutta, vale sempre la pena di essere vissuta».
Alessia Trentin
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