Il pugno di ferro di Al Sisi su moschee e dissenso

Lunedì 8 Febbraio 2016
La feroce repressione dello spazio pubblico di cui è stato vittima il giovane Giulio Regeni si è sviluppata come una ragnatela, raggiungendo, dall'estate del 2013 ad oggi, ogni luogo - reale o potenziale - del dissenso. Dai sindacati alle redazioni dei giornali, passando per le sedi delle organizzazioni non governative e le università.
Il controllo capillare del “nuovo” regime del presidente Abedel fattah Al Sisi si estende fino ai luoghi e alle pratiche religiose. Sin dallo scorso anno il governo ha rafforzato la sua presa sulle moschee, chiudendo le più piccole, proibendo ai predicatori non certificati di parlare dai pulpiti e controllando i sermoni della preghiera comunitaria del venerdì. Questo processo ha portato all'introduzione della distribuzione di sermoni standardizzati, scritti dal ministero degli Affari religiosi e consegnati ai vari predicatori che si limitano - o almeno questo dovrebbero fare - a leggerli ogni venerdì ai fedeli che si riuniscono nelle moschee: 80 mila, dopo la chiusura - da parte del regime - di quelle più piccole e informali, ritenute luoghi facilmente penetrabili dagli islamisti.
Anche se il ministero degli Affari religiosi guidato da Mokktar Gomaa continua a ribadire che i predicatori non dovrebbero usare il pulpito per parlare di questioni politiche, l'avvicinarsi del quinto anniversario dello scoppio della rivoluzione di piazza Tahrir - giorno della scomparsa di Giulio - ha mostrato che dentro le moschee accade esattamente il contrario. Le prediche pronunciate in occasione della preghiera comunitaria del venerdì veicolano sempre di più messaggi esplicitamente politici.
Discorsi alla mano, basta leggere i titoli di queste prediche per capirne il taglio. Il sermone dell'8 gennaio si intitolava “Unità per la costruzione e la salvaguardia del paese - una domanda legittima e un dovere nazionale”, mentre quello della settimana successiva è stato dedicato alla benedizione della sicurezza. In un momento in cui le nuove istituzioni stanno erodendo sempre di più lo spazio pubblico, tali discorsi si presentano come una fonte di legittimazione a questo ennesimo giro di vite. Così facendo, si allineano alla lunga serie di leggi, decreti e dichiarazioni attraverso le quali il governo accusa quanti provano a indire manifestazioni di mettere a rischio la stabilità nazionale.
Al contempo però, Al Sisi usa questi sermoni per ottenere qualcosa di più, ovvero una legittimazione religiosa del regime autocratico di cui è stato vittima Giulio Regeni. Anche se il presidente nato dalle ceneri della Fratellanza Musulmana si è presentato al mondo intero come l'uomo che non mischia la politica con la religione, il controllo del consenso e del conformismo religioso è parte integrante della sua strategia.

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