Il prefetto si arrende: profughi via da Gorino

Mercoledì 26 Ottobre 2016
Il quartier generale della rivolta è proprio dietro il delta del Po, ha un giardinetto dove le signore bevono il caffè e tavoli di formica per partite a briscola. Ma da lunedì pomeriggio tira una brutta aria e nessuno ha voglia di giocare a carte. «Non ci hanno detto nulla, non ci hanno chiesto se eravamo d'accordo a ospitare i migranti. E poi il locale sequestrato a lavoratori onesti, che pagano le tasse». Mario è uno dei 450 abitanti di Gorino, paesello di vongolari a sette chilometri da Goro, nota per aver dato i natali a Milva. Come i suoi concittadini ha passato la notte sulle barricate anti-profughi. Bancali in mezzo alla strada, trattori di traverso, urla, spintoni. «Qui gli stranieri non entrano». E alla fine non sono entrati.
Ora i rivoltosi sono tutti qui, all'Ostello bar Gorino, requisito per metà con un'ordinanza di prefetto di Ferrara Michele Tortora. Avrebbe dovuto ospitare dodici profughe, una incinta, arrivate da Nigeria, Nuova Guinea e Costa d'Avorio: sono sopravvissute al mare, ai trafficanti e agli stenti, ma non alla rabbia e alla frustrazione dei paesani del Delta. Il pullman che doveva portarle all'ostello, la loro meta finale, ha girato per ore intorno a Gorino fino al contrordine: alcune sono state portate a Ferrara, altre a Comacchio e a Fiscaglia.
«Credo che quelle persone si debbano vergognare» accusa il prefetto Mario Morcone, capo dipartimento immigrazione del Viminale.
«Mi vergogno per Goro. Se in un momento come questo un comune come quello, che ha ricevuto molto dalle istituzioni, non accoglie dodici donne straniere bisogna che si rifletta sul significato di collaborazione istituzionale», afferma il sindaco di Ferrara, Tiziano Tagliani. Il sindaco di Goro, Diego Viviani (Pd), assicura che il paese «non è razzista, siamo disponibili come gli altri, siamo italiani: ci dispiace che il ministro Alfano ci abbia bollato come incivili». Questa è la storia di una comunità chiusa, di una manciata di persone che teme di perdere il suo bar, l'unico centro di aggregazione nel raggio di dieci chilometri, che non vede di buon occhio nemmeno chi viene dal comune vicino, figuriamoci dall'Africa.
«Gorino è un posto che vive per i fatti suoi», sintetizza un carabiniere di guardia all'ostello. Una micro comunità che vuole restare così e che guarda con timore a frazioni come Sant'Anna di Chioggia, sull'altra riva del Po, desertificata dall'arrivo degli immigrati. Lunedì, a Gorino, hanno temuto la stessa cosa. «Non si tratta di mancanza di solidarietà, ma ci preoccupano ulteriori arrivi e la delinquenza che potrebbero ingenerare. E' stato un blitz, prendiamo atto di una volontà che non è la nostra, sono metodi che non condividiamo affatto», sbotta Gino Soncin.
Secondo il prefetto Tortora non c'è stata alcuna forzatura. «La gestione di questi problemi va affrontata con buon senso e spirito di collaborazione. Il sistema dell'accoglienza diventa sempre più stressante, ma le procedure sono state corrette. Non mi aspettavo una reazione del genere e l'ho trovata sconcertante», afferma.
In risposta i cittadini mostrano le due pagine del decreto di requisizione appeso all'ingresso del bar. «Vede? Mi hanno dato quei fogli e mi hanno detto: le sei camere sono sequestrate, che tu lo voglia o no. Eppure noi avevamo comunicato alla prefettura che non eravamo disponibili a ospitare i migranti, è il primo anno che guadagniamo qualcosa», racconta Sanela Nikolic. Ha trent'anni, è scappata dalla Serbia un anno prima che scoppiasse la guerra e da cinque anni gestisce il locale. La rivolta termina verso mezzogiorno, davanti una grigliata di spiedini e torte portate da casa. E un grande applauso saluta l'annuncio del sindaco: «A Gorino non arriveranno profughi».
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