«I governi nazionali usano i negoziati per costruire un muro sulla Manica»

Lunedì 24 Ottobre 2016
La partita si gioca tra Francoforte e Milano. Ma nonostante le carte a favore della base italiana, sede di Piazza Affari (dal 2007 una gamba importante del gruppo Lse), con tanto di asset e un patrimonio di 127.000 persone tutto dedicato al settore finanziario, Francoforte potrebbe giocare meglio le sue carte. E' questo il clima che si respira negli ultimi tempi tra le banche della City che aspettano di sapere come poter recuperare il passaporto Ue se davvero la Brexit dovesse essere operativa a breve.
E allora chissà se Milano e, l'Italia più in generale, ha compreso fino in fondo cosa c'è dietro l'ultimatum del capo della British Bankers Association. Chissà se qualcuno da queste parti ha capito che dietro le minacce al governo May c'è il rischio concreto che dalla Brexit possa nascere un nuovo hub finanziario europeo a tre teste, con sede fiscale a Dublino, sede operativa a Francoforte e con una base per i prodotti finanziari sempre a Londra. Lo scenario è di quelli che circolano negli ambienti della City, gli stessi ambienti che credono poco a uno scenario di soft Brexit in cui le trattative con l'Europa concedano un'esenzione sui servizi finanziari senza una concessione importante sull'immigrazione da parte di Londra, cosa alquanto improbabile. Dunque la Brexit sarà hard, dicono. E allora Londra potrebbe puntare a fare un accordo forte con uno stato altrettanto forte per cedere l'eredità di centro degli scambi Ue limitando il più possibile gli effetti della Brexit (una perdita di 70 mila posti di lavoro, un buco da 40 miliardi di sterline per i ricavi delle banche inglesi, 10 miliardi di gettito in meno dal settore finanziario e una voragine per il Pil). Come? Con un piano che sfrutti i vantaggi fiscali di Dublino, tra l'altro vicina Londra per diritto lingua e cultura, ma troppo piccola per accogliere il mercato finanziario Ue. Fatta la sede legale in Irlanda, si potrebbe però trasferire a Francoforte (in pratica la Merkel), come seconda sede, il centro degli scambi. Il che vuol dire per gli inglesi fare anche investimenti importanti in infrastrutture, non solo di clearing. E a quel punto a Londra potrebbe rimanere la fabbrica dei prodotti finanziaria, con tutta la macchina degli analisti. A meno che Milano non ingrani davvero la marcia. I numeri di professionalità finanziaria e business ci sono tutti. Lo sanno bene anche le banche Usa e asiatiche, che insieme a quelle inglesi sono a caccia di una nuova sede Ue. Ma tra burocrazie e fisco mancano i segnali giusti dall'Italia.
© riproduzione riservata

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci