Hanno tra 18 e 34 anni, spesso lavorano e vivono a casa con mamma e papà. Sembra

Domenica 23 Ottobre 2016
Hanno tra 18 e 34 anni, spesso lavorano e vivono a casa con mamma e papà. Sembra questo il ritratto dell'italiano medio under35 in Italia. Secondo gli ultimi studi Eurostat, basati sui dati 2015, infatti, il 67,3% dei giovani in questa fascia d'età abita con i genitori. Si tratta quasi di sette su dieci. E attenzione, solo il 20% si dice disoccupato, il 25% ha un lavoro a tempo indeterminato. Un record nella storia del Paese, che vede il fenomeno dei figli adulti che rimangono con i genitori in sensibile aumento: era il 61,8% nel 2011 e il 65,4% nel 2014. Ma anche un primato nella geografia dell'Europa. Prima di noi, nella classifica dei Paesi con più giovani in casa, c'è solo la Slovacchia, con il 69,6%. E se Malta si avvicina alla nostra posizione, con il 66,1%, ben diversa è la situazione in Germania, con il 43,1%, Francia, con il 34,5% e Regno Unito con il 34,3% fino al picco virtuoso della Danimarca, con appena il 19,7%.
L'ISTRUZIONE - Non solo. I ragazzi italiani sembrano andare controtendenza. La media del Paese è circa 20 punti superiore a quella europea, pari al 47,9%. E quest'ultima, invece di salire come la nostra, misura la diminuzione del fenomeno. Nel 2014 era del 48,1%. Varie le cause del caso Italia. Sicuramente incide lo studio. Nella fascia dai 18 ai 24 anni, la percentuale di chi vive con mamma e papà sale al 94,5%. I numeri sono più alti pure in Europa, dove la media, però è del 79,1%. Un lieve calo si registra escludendo i diciannovenni: tra 20 e 24 anni, la percentuale è del 93%. Lo stesso taglio in Francia porta al 59,8%. Il dato si riduce nella fascia tra 25 e 34 anni, ma è ben lontana dall'essere irrilevante. A rimanere in famiglia, con il 50,6%, è più della metà dei giovani. Nel 2011, era il 44%.
IL PEGGIORAMENTO - Ed è proprio qui, tra quanti dovrebbero avere ormai un lavoro, che la diversità dagli altri Paesi si fa più evidente. In Danimarca, la percentuale dei giovani a casa precipita al 3,7%. In Svezia si sale al 3,9%. In Francia è il 10,1%, nel Regno Unito il 16%, in Germania il 19,1%, in Spagna il 39,1%. La media europea è 28,7%. Pesa l'età ma a fare la differenza è anche il genere. A confermare lo stereotipo dell'italiano mammone sono le cifre. È ben il 73,6% dei maschi tra 18 e 34 anni a vivere con i genitori. Ossia, quasi tre su quattro. Il dato è in crescita: era il 71,8% nel 2014. E ad aumentare, in particolare, è la fascia 25-34 anni, che dal 56,8% passa al 59,3%. Nella medesima classe d'età, a casa si ferma solo il 41,7% delle donne. Nella maggior parte dei casi, la mancata autonomia sarebbe forzata. «Il nostro sistema di istruzione tende ad andare avanti a lungo, questo fa sì che molti entrino nel mercato del lavoro in ritardo - spiega Francesco Pastore, segretario Associazione italiana economisti del lavoro - é vero che sono pochi quelli che si laureano ma quasi tutti si iscrivono. Chi cerca lavoro, poi, perlopiù trova posti insoddisfacenti con redditi bassi, che non consentono di mantenere un'abitazione o una famiglia. In altri Paesi, spesso, sono le donne a premere per velocizzare l'uscita dall'abitazione dei genitori. In Italia non è così, perché qui le ragazze, giustamente, prima vogliono un lavoro stabile. Tendono a rimandare la maternità. I servizi per l'infanzia mancano, e così circa il 27% delle mamme si licenzia dopo il primo figlio».
LA SICUREZZA - «La recessione nel nostro Paese non offre ai giovani la possibilità di costruirsi un futuro come quello che avevano immaginato studiando - dice Anna Oliverio Ferraris, psicologa e psicoterapeuta - quindi alcuni vanno via, gli altri rimangono e attendono occasioni propizie e questo è fortemente negativo. Rimandando, si finisce per diventare giovani vecchi. A 35/40 anni è difficile creare una famiglia». La necessità è il fattore principale ma la ricerca di lussi che solo la vita in famiglia può garantire è un dato culturale nuovo e decisamente rilevante. «Molti si sentono più sicuri rimanendo a casa - conclude - ma così si resta figli, con legami di dipendenza. È difficile farsi adulti. Non è un problema dei singoli ma del Paese. I giovani portano idee nuove, creatività, coraggio. Lasciarli in questo limbo, mantenendoli sempre adolescenti, significa perdere importanti potenzialità».
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