Friuli, il doppio ko del Pd Le contromosse di Debora

Martedì 21 Giugno 2016
Non saranno Roma e Torino, ma in Friuli Venezia Giulia Trieste e Pordenone politicamente pesano. Parecchio. Già, perchè da lunedì sera due delle roccaforti del centrosinistra hanno cambiato bandiera. Ma se a Trieste il regno di Roberto Cosolini, democratico di ferro, durava "solo" da cinque anni, a Pordenone il centrodestra da tre lustri (proprio così, 15 anni) non metteva piede in Municipio da padrone. Come dire che era sempre stato confinato all'opposizione. L'altra sera la rivoluzione. Pordenone è passata di mano. Alessandro Ciriani ha piantato la bandierina del centrodestra sul Municipio distanziando di 17 punti l'avversaria, Daniela Giust. Che l'aria fosse cambiata lo si era già capito al primo turno quando lo stesso Ciriani aveva già messo un piede dentro il Comune vincendo con 12 punti di scarto.
A Trieste Roberto Dipiazza ha "sbrigato la pratica" con un po' più di difficoltà: undici i punti di distacco al primo turno, ridotti a poco più di cinque al ballottaggio. Come dire che Roberto Cosolini, sindaco uscente, una rimonta l'ha messa in piedi. Ma non è stata sufficiente. Resta il fatto che in Friuli Venezia Giulia cambia l'aria e cambiano i colori della bandierine sui municipi. Tre capoluoghi ora li ha in mano il centrodestra. Resiste a sinistra solo Udine.
Un segnale chiaro a chi questa regione la governa, Debora Serracchiani che è anche la numero due del Partito Democratico. La vice di Renzi, insomma. Ma se il segretario nazionale può almeno dire di aver salvato Milano dalla sconfitta, per la sua vice la débacle in casa è completa. Per questo Pordenone e Trieste politicamente pesano. Pesano perchè aprono un fronte politico in casa della governatrice che ora è in difficoltà anche se - come è nel suo stile - non lo fa certo vedere. Per la verità ieri la Serracchiani qualche ammissione sulla sconfitta l'ha fatta. «Non sono tra quelli per cui la vittoria appartiene a tutti mentre la sconfitta è orfana - ha sottolineato la presidente - e dunque mi assumo la mia parte di responsabilità. Da qui in avanti, però, e non da sola, so che ritroveremo la determinazione affinchè dalla sconfitta si creino i presupposti per una nuova vittoria. La sconfitta ai ballottaggi - ha concluso - è un messaggio chiaro che abbiamo recepito e al quale risponderemo con umiltà e impegno». Un messaggio conciliante, dunque, ma che difficilmente riuscirà a fare presa all'interno del Pd regionale dove di fatto si è aperta la resa dei conti. Non a caso la minoranza Pd è già passata al contrattacco: il senatore Lodovico Sonego ha già messo nel mirino la presidente e chiesto, oltre a una profonda riflessione, anche chiarimenti sulla disfatta. Come dire che potrebbe servire la "testa di qualcuno". Sonego e l'ala riformista mirano a quella della Serracchiani, ma è più facile che a farne le spese possa essere la segretaria regionale, Antonella Grim, espressione renziana e piazzata in quell'incarico con il via libera della presidente. Ma gli equilibri sono talmente fragili nel Pd che l'ala riformista, minoritaria e sino ad ora in castigo, potrebbe pure permettersi di stare a guardare la guerra che potrebbe scatenarsi tra i renziani, anche loro in fibrillazione, per poi sferrare l'attacco finale. A meno che lo stesso Renzi, ipotesi uno, non decida di congelare la sua vice, Debora Serracchiani, togliendole ruolo e potere. Ma c'è anche l'ipotesi due, ossia che il premier affidi il famoso lanciafiamme alla stessa presidente per regolare i conti in casa. In ogni caso la situazione si farebbe incandescente.
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