Continuano i depistaggi una sola certezza: torturato da un professionista

Sabato 6 Febbraio 2016
«Un atto criminale non collegato al terrorismo»: l'Egitto prepara la sua verità per la morte di Giulio Regeni. E mette a ferro e a fuoco la città alla ricerca dei presunti autori delle torture e dell'omicidio. Quarantacinque abitazioni sono state perquisite, gli amici del ragazzo sono stati portati in procura per essere interrogati, e chissà quanta gente si trova nelle mani della polizia. Nel pomeriggio di ieri, poi, è circolata la voce di due possibili arresti: «persone legate al delitto», ha dichiarato una fonte dei servizi di sicurezza. Ma la notizia è stata diffusa soprattutto in Italia, perché nessun media arabo l'ha riportata. E infatti, in serata, la stessa fonte ha rallentato: «Per l'annuncio ufficiale dei fermi ci vorrà ancora molto tempo». Allora, l'unica verità che resta in piedi è quella che si legge sul corpo di Giulio attraverso le bruciature di sigaretta persino tra le dita, l'orecchio mozzato, gli occhi pesti, il naso fratturato, e delle strane ferite che sembrano provocate da scariche elettriche. Segnale inconfutabile che chi lo ha ucciso era un professionista della tortura.
Negli ambienti egiziani ora si dice che il ricercatore fosse “sorvegliato”, tenuto d'occhio dalla polizia o da qualche organizzazione paramilitare, per via di quei contatti che aveva provato a stabilire con il mondo dei lavoratori. Cercava informazioni per la sua tesina sull'autonomia dei sindacati locali durante il governo di al-Sisi. Potrebbe aver incontrato persone sgradite al governo egiziano. Del resto il giovane friulano si era già espresso in maniera critica su come i diritti venivano tutelati nel paese africano. E lo aveva scritto anche per un'agenzia di informazione che si chiama Nena News (agenzia stampa Vicino Oriente), un sito creato da giornalisti e ricercatori «con l'obiettivo di diffondere un'informazione indipendente». Un suo articolo, lo stesso che è uscito su Il Manifesto di ieri, era stato pubblicato il 14 gennaio, undici giorni prima della scomparsa, ed è stato poi ripreso da altri siti specializzati. Era firmato con uno pseudonimo: Antonio Drius. Giulio aveva scelto di usarlo perché temeva qualcosa, aveva paura. E forse proprio tra le persone contattate per il suo lavoro potrebbe nascondersi qualcuno che lo ha “venduto” agli apparati, inventando chissà quale storia di spie e tradimenti.
Così il giovane è finito nella rete di chi lo ha torturato e ucciso: probabilmente arrestato nella retata di attivisti che si è registrata il 25 gennaio, giorno del quinto anniversario della rivolta studentesca di piazza Tahrir. Volevano da lui chissà quali informazioni, hanno picchiato duro e lo hanno assassinato. Avevano fatto così anche con un altro suo coetaneo egiziano, Mohammed al Jungi. Era scomparso il 25 gennaio del 2013, ritrovato in coma in un ospedale il 3 febbraio, dove è morto il giorno dopo per le botte in testa, le bruciature, i tagli. «È stato un incidente stradale», ha dichiarato la polizia. Pure in quel caso una macchina assassina che, non solo travolge, ma anche sevizia. Era un attivista politico e lavorava nel team di un candidato alla presidenza. La verità sulla sua morte non si è mai saputa.
Ed è quello che potrebbe succedere anche per Giulio. Per il momento, il pool di investigatori italiani del Ros, dello Sco e dell'Interpol, arrivati al Cairo ieri sera, ha incontrato solo il nostro ambasciatore Maurizio Massari, e aspetta di poter conoscere lo stato delle indagini. Invece, su un punto la collaborazione sembra sia stata concreta ed è nella possibilità di riportare a casa la bara di Giulio. L'aereo proveniente dal Cairo atterrerà oggi alle 13 a Fiumicino, subito dopo il cadavere verrà sottoposto a una nuova autopsia.
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