Baita fa la vittima: anch'io mi adeguai al sistema tangenti

Lunedì 24 Ottobre 2016 di L'ex manager della Mantovani: «Non ebbi la forza di ribellarmi»
VENEZIA - «Le grandi opere sono sempre dipese dalla benevolenza del potere: pur di lavorare, le imprese hanno sempre considerato le tangenti un male necessario. Quando nel 2002 entrai nel Consorzio Venezia Nuova, il dare per avere era accettato da tutti. E anch'io mi ci adeguai, non avendo la forza di ribellarmi». È stato un Piergiorgio Baita autoproclamatosi vittima consapevole del sistema, quello che l'altroieri si è fatto intervistare a Radio 24 dalla conduttrice di Storiacce, Raffella Calandra. L'ex amministratore delegato della Mantovani ha tenuto una sorta di lezione sul tema corruzione, traendo spunto dall'omonimo volume scritto insieme alla giornalista Serena Uccello. Secondo Baita (e a futura memoria), «L'opera pubblica non deve essere fatta dallo Stato, ma dagli imprenditori sotto la supervisione dello Stato». In caso contrario, la mazzetta (o l'aiutino formalmente lecito, ma non per questo meno discutibile) «da vizio si trasforma in consuetudine. Perché il potere, sia esso di destra, di centro o di sinistra, chiede sempre una contropartita».
«Prima di Tangentopoli andava di moda ingraziarsi direttamente la politica ha continuato Baita Dopo l'alta burocrazia, e più recentemente i grandi gruppi finanziari. Ma ora, per scarsità di risorse e i controlli degli organi europei, tutto si è fatto più virtuoso. E il quadro complessivo è migliorato». Del resto, il suo dissenso sul sistema Mose era precedente l'inchiesta: «Per questo davanti alla Procura mi sono difeso, non avendo l'intenzione di diventare un capro espiatorio. Facendo capire che a rifiutare l'andazzo si rischiava l'emarginazione. E pagava chi aveva necessità di lavorare».
Vettor Maria Corsetti
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