Permesso premio al killer di Jennifer

Giovedì 27 Aprile 2017
Permesso premio al killer di Jennifer
Il beneficio è previsto da una legge del 1975: Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà. Per quindici ore, dalle 8.30 alle 23.30 di domenica scorsa, il 45enne di Noale è potuto uscire dal carcere scaligero di Montorio, per trascorrere una giornata a casa della sorella e del cognato, alle porte di Castelfranco Veneto. A permetterglielo è stato il decreto, firmato il 12 aprile dal magistrato di sorveglianza Isabella Cesari e vistato l'indomani dal procuratore aggiunto Angela Barbaglio, che ha accolto la richiesta presentata dallo stesso Niero il primo di questo mese.
IL PROVVEDIMENTO Non era un pesce d'aprile, sul piano formale il provvedimento è ineccepibile. La concessione è stata data «considerato che la sua condotta penitenziaria è stata regolare, come attestato con nota in data 30/03/2017 dal Direttore della Casa Circondariale di Verona che ha espresso parere favorevole» e «ritenuto (...) il richiesto permesso come coerente con il programma trattamentale sino ad oggi positivamente seguito dal condannato ed altresì ritenuto che tale tipo di permesso sia idoneo a favorire il reinserimento dello stesso». Queste sono le parole del tribunale. Ma insieme alla troupe di Chi l'ha visto, che ieri sera ha affrontato il caso su RaiTre, ascoltiamo anche la voce di un padre. Tullio Zacconi non può dimenticare il referto autoptico del medico legale Antonello Cirnelli e la requisitoria del pubblico ministero Stefano Buccini: «Strappati tutti i capelli, spaccata la spina dorsale, presa a pedate, buttata in una fossa e calpestata quando ancora respirava, con in grembo un bambino che avrebbe partorito pochi giorni dopo...».
LA RABBIA Il barista di Mestre sa di non dover ripetere quanto sibilò il 16 aprile 2007, dopo aver aggredito il killer di sua figlia, all'uscita dall'udienza preliminare in cui il giudice Giuliana Galasso aveva ammesso il processo con rito abbreviato e dunque con la riduzione di un terzo della pena: «Questa è la giustizia, quello fra dieci anni è fuori dalla galera, io lo ammazzo». La previsione è stata pienamente azzeccata, l'ira è malcelata dal sarcasmo: «Ringraziamo le istituzioni, il governo che abbiamo, le leggi che ci sono. Se dopo undici anni e con due omicidi sulle spalle (ma per la sentenza è stato solo uno, ndr.) mandano fuori un assassino anche soltanto per una giornata, dentro di me non posso che avere rabbia. Chi paga è la vittima e basta, il carnefice non paga niente. Per reati così efferati non dovrebbero esserci benefìci. Capisco uno che spaccia, ma uno che ammazza... non solo gli concedono lo sconto sulla condanna, ma gli danno pure il permesso premio? È una vergogna. Come parti civili n\on siamo stati informati di questo permesso, il nostro dolore non conta niente. Ricordo che da quell'uomo non abbiamo mai ricevuto né scuse, né risarcimenti». La provvisionale stabilita in sede penale, in tutto 165.000 euro, è stata liquidata solo per gli 80.000 assegnati alla madre Anna Maria Giannone, ma non dall'imputato bensì dalla presidenza del Consiglio dei ministri e dal ministero della Giustizia, condannati nel 2013 per la mancata attuazione della direttiva europea che conferisce alle vittime di reati intenzionali violenti, commessi da nullatenenti, «il diritto a percepire dallo Stato membro di residenza l'indennizzo equo e adeguato». Zacconi è amaro: «Niero può riabbracciare i suoi figli e fare tante cose, io e la mia Jenny no. Mi manca e ci manca da morire».
IL DOLORE Un dolore che la sorella dell'omicida («Vi prego di non dire come mi chiamo e dove abito, questa tragedia ha devastato la mia famiglia») non se la sente di commentare, quando ci accoglie nel giardino che il 23 aprile ha ospitato il primo giorno di libertà del 45enne. «Cos'ha fatto? Annusava l'odore dell'erba, ascoltava il rumore delle foglie, non ricordava neanche questa zona: era un uomo frastornato e confuso, che dopo undici anni rivedeva il mondo fuori dalle sbarre», racconta la donna con la delicatezza e il pudore di un ruolo che non si è cercata. «Mi sono svegliata una mattina rammenta ed era come se fosse scoppiata una bomba. Non sono un giudice, non sono una psicologa. Sono solo una persona che ha avuto carità cristiana verso suo fratello, fornendogli gli indumenti per vestirsi e i libri per studiare, visto che gli mancano pochi esami per la laurea in Commercio Estero. Lucio ha fatto un percorso religioso, si è impegnato con gli educatori, fa volontariato per una comunità. Lo so, per tutti è il mostro e io certo non lo difendo, ogni anno quando si avvicina il 30 aprile gli ricordo quello che ha fatto. Ma è un uomo che pesava 120 chili e che ora non arriva a 70. La sua vita, e anche la nostra, sarà segnata per sempre». Anche quella di Tullio Zacconi e dei suoi familiari: «Darei un braccio per riavere mia figlia», ci confida. Quel braccio su cui è tatuato tutto il suo strazio: «Jennifer, ovunque sei, mi manchi».
Angela Pederiva
© riproduzione riservata

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci