«Papà, il migliore amico» Ma il giudice non gli crede

Mercoledì 29 Marzo 2017
«Papà era il mio migliore amico». Lo ha giurato, ieri mattina, davanti al Gip del tribunale dei minori di Venezia il sedicenne accusato di avere ucciso il padre.
Ma il giudice Valeria Zanca, pur non convalidando il fermo per una reale mancanza del pericolo di fuga, non gli ha creduto e ha invece firmato un'ordinanza di custodia cautelare in carcere. La motivazione è durissima: non avendo il ragazzo precisato alcun movente per il suo delitto, di fatto può uccidere ancora. Il sedicenne venerdì scorso all'ora di pranzo nella sua villetta di Selvazzano Dentro, un comune alle porte di Padova, ha ucciso il padre Enrico Boggian di 52 anni sparandogli da cinquanta centimetri alla testa con un fucile calibro 22 trafugato al nonno. Sabato è stato fermato dai carabinieri e ieri, difeso dall'avocato Ernesto De Toni, si è presentato davanti al Gip per l'interrogatorio di garanzia.
Lo studente, iscritto a un liceo sportivo di Padova, ha risposto per oltre due ore alle domande del giudice per le indagini preliminari. Di nuovo ha ricostruito quanto è capitato nella villetta tra le 13 e le 14 di venerdì, sottolineando a più riprese che «...Volevo solo fare uno scherzo a papà, non volevo ucciderlo...». In più di una occasione, durante l'interrogatorio, è scoppiato in lacrime e il sostituto procuratore Monica Mazza, titolare delle indagini, ha chiesto al Gip di fermarsi per fare rifiatare il ragazzo. Ma il giudice non ha creduto a una sola parola del sedicenne. La mancanza di un movente e tutta quella messinscena, hanno giocato a sfavore del giovane. La mattina di venerdì lo studente non è andato a scuola per un mal di pancia. Intorno alle 11 è andato a casa del nonno, che dista non più di 300 metri dalla sua villetta. Qui nella camera da letto ha trafugato il fucile ed è rientrato nella sua abitazione in attesa del padre. I due hanno pranzato insieme, poi sono scesi in taverna per un momento di relax davanti al televisore. A questo punto il sedicenne si è alzato dal divano, è andato a prendere il fucile e ha sparato in testa al padre.
Erano le 13.45 e il colpo, secco e forte, è stato sentito da un vicino di casa. Alle 14 il ragazzo è salito in sella alla bici del papà e si è diretto in un campo a duecento metri dalla villetta, dove si è liberato del fucile a cui aveva rotto il calcio in legno. Alle 14.20 è rientrato in casa e solo dopo oltre 45 minuti ha chiamato i soccorsi. Insomma per il Gip il giovane ha premeditato tutto nei dettagli e deve restare in carcere. Inoltre, forse il padre poteva essere salvato, ma questo lo svelerà solo l'autopsia disposta sul corpo del 52enne. Il ragazzo al giudice ha detto «Mi sono spaventato», così a giustificare il mancato soccorso al padre e l'aver gettato l'arma in un cespuglio di rovi.
Durante l'interrogatorio il sedicenne ha parlato anche del suo rapporto con il papà. «Lui sapeva che andavo male a scuola, tra noi non c'erano segreti» ha di nuovo giurato davanti al Gip. Il giovane ha descritto un normale rapporto tra padre e figlio, ma agli inquirenti così non è sembrato. Il sedicenne è apparso ai loro occhi come un ragazzo viziato, capace di momenti di estrema freddezza e di altri di totale immaturità.
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