Omicidio Pasolini, morto Pelosi

Venerdì 21 Luglio 2017
Dopo l'evasione dal carcere di Giuseppe Mastini (detto Johnny lo Zingaro), lo chiamavano tutti: «Pino dai, dicci la verità». E lui, dal suo letto, al nono piano del Gemelli, sfinito dalla chemio: «Ma come ve lo devo di'? Quella notte Johnny lo Zingaro non c'era».
Ora che anche Pino Pelosi, detto la Rana, non c'è più, è scomparso forse l'ultimo testimone ancora in vita, l'unico che poteva dare un volto alle tante ombre che hanno fatto del delitto-Pasolini uno dei misteri italiani. La sua verità è cambiata mille volte, venduta e svenduta un tanto al chilo, rilevazioni tardive che sono servite però ad appurare un pezzo di verità incontrovertibile: quella notte del 1° novembre 1975 Pelosi non era solo, come è emerso dall'esame dei Ros effettuato sui rilievi recuperati all'Idroscalo di Ostia. Un caso chiuso e riaperto tante volte, archiviato alla fine senza indagati e senza ipotesi di reato nonostante circostanze e indizi portassero sempre molto in alto senza scagionare del tutto Mastini, condannato all'ergastolo e diventato un collaboratore di giustizia.
«Pi',con le bugìe ce fai cammina' i treni», gli dicevano gli amici al bar di Testaccio, scherzando. Perché in effetti. Pelosino nei sui 59 anni, di cui ben 22 trascorsi in prigione, ne ha dette tante prima che venisse fuori come era andate le cose. Pasolini non lo aveva abbordato al chioschetto di piazza dei Cinquecento per una marchetta come pure per anni credettero tutti ma molto prima, da quando lo scrittore aveva rotto il suo legame sentimentale con Ninetto Davoli. «Pier Paolo mi faceva guidare la sua Alfa, mi veniva a prendere sotto casa al Tiburtino III tutti mi guardavano con invidia. Se le cose non fosse andate così mi avrebbe dato una parte in un suo film», ha svelato Pelosi in uno dei suoi rari momenti di verità.
Se è vero che il colpo di fortuna passa solo una volta nella vita, la sua grande l'occasione fu quella. Ma Pino la Rana non seppe coglierla e quando i due fratelli Borsellino, legati alla gang dell'Ina Casa, gli proposero di rubare le pizze del film Salò e le 120 giornate di Sodoma, lui disse di sì e si offrì di fare da esca per chiedere poi un riscatto al famoso regista.
L'ultima di una lunga serie, quella che forse più si avvicina a come si svolsero i fatti, è in un libro scritto insieme al suo legale Alessandro Olivieri e al regista Federico Bruno Io so... come hanno ucciso Pasolini un passaggio cruciale è quando racconta il modo in cui, lui 17 enne, esilino, pischello di borgata, fu convinto dopo il delitto a nominare come avvocato Rocco Mangia e come quest'ultimo lo convinse ad accollarsi l'omicidio dello scrittore perché in questo modo «in 40 giorni sarei uscito di prigione». Per l'onorario non ci sarebbero stati problemi «ci avrebbe pensato qualcuno molto più in alto». Al suo avvocato Pelosi disse come erano andate le cose, che lui fece da esca, che erano stati altre 3 uomini a lui sconosciuti e i due fratelli Borsellino a picchiare Pasolini e a passargli sopra con un'altra auto, simile all'Alfa Gt dello scrittore. Ma Mangia lo convinse e gli fece vendere al settimanale Gente la sua prima intervista in cambio di 3 milioni di lire. «Vedrai, sarà la tua pensione», gli disse la madre Maria, con il cinismo ed il senso pratico di chi ogni giorno doveva sbarcare il lunario.
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