Ispezione in ospedale: «Riina assistito meglio che a casa»

Mercoledì 14 Giugno 2017
ROMA - (m.al.) Nell'ospedale di Parma, dove è recluso in regime di 41 bis nel reparto riservato ai detenuti, il boss di Cosa Nostra, Totò Riina, è curato nel migliore dei modi. Di più: «È in una condizione di assistenza continua identica se non superiore a quella di cui potrebbe godere in status libertatis o ai domiciliari» e in cui gli è «ampiamente assicurato il diritto a una vita dignitosa e, dunque, a morire, quando ciò avverrà, altrettanto dignitosamente». Per la presidente della commissione Antimafia, Rosy Bindi, che ha effettuato un'ispezione a sorpresa nell'ospedale emiliano dopo le polemiche suscitate dalla decisione della Corte di Cassazione, che ha aperto alla possibilità di concedere al boss un differimento della pena o i domiciliari per motivi di salute, la legge non prevede «l'esistenza di un diritto a morire fuori dal carcere». La Bindi, che non ha dubbi sulla pericolosità di Riina - «è stato e rimane il capo di Cosa Nostra» - ha spiegato che «le sue condizioni di salute, imprevedibili data anche l'età ma stazionarie, potrebbero, in ipotesi, a giudizio dei medici, consentire il suo rientro in cella, con le opportune prescrizioni».
Lo scorso anno, l'avvocato del boss, Luca Cianferoni, aveva chiesto per il suo assistito il differimento della pena o, in subordine, i domiciliari. L'istanza era stata respinta dal Tribunale di sorveglianza di Bologna. Poi, è arrivata la Cassazione. La decisione degli ermellini è stata interpretata come un'apertura alla possibilità per il boss di ottenere i domiciliari, circostanza che ha scatenato feroci polemiche. Dopo l'ispezione, effettuata insieme ai vicepresidenti della commissione, Claudio Fava e Luigi Gaetti, la Bindi ha specificato che «Riina è ricoverato in una struttura più che adeguata, in grado di far fronte alle malattie di qualunque natura e ai loro sviluppi». Ottantaquattrenne e ricoverato dal 2015, il boss soffre di problemi cardiaci, renali e di parkinsonismo vascolare. Nell'ospedale di Parma è detenuto in una stanza blindata di cinque metri per cinque, accessibile solo a medici, infermieri e guardie.
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