Il clan veneto tra false fatture e usura

Martedì 21 Febbraio 2017
Il clan veneto tra false fatture e usura
Le mani della ndrangheta sul Veneto. Gli arresti eseguiti la scorsa settimana dai carabinieri del Ros hanno squarciato il velo su un preoccupante quadro di infiltrazioni della criminalità organizzata che secondo gli inquirenti, da molti anni fa affari nel settore degli appalti con il sistema delle false fatturazioni e con l'usura, tramite referenti di spicco di famiglie calabresi trasferitesi al Nord. Il gip Massimo Vicinanza ha emesso un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di tre soli imputati, sul totale di undici per i quali la Procura di Venezia aveva chiesto l'arresto, ma riconosce in buona parte i reati ipotizzati dal pm Giovanni Zorzi, per i quali si procederà a piede libero. E, in una quarantina di pagine, ricostruisce struttura criminale e personaggi coinvolti, su cui hanno fatto luce principalmente alcune indagini condotte a Catanzaro e a Bologna.
LA CELLULA VENETA - La Procura individua in Francesco Frontera, 41 anni, residente a Origiano, nel Vicentino, il ruolo di «capo riconosciuto» di un'associazione dedita di una serie indefinita di delitti nelle province di Vicenza e Verona; associazione per cui sono indagati anche Roberto Gaspare Crisi, Giovanni Francesco Giuseppe Crisi, Carmine Sarcone, Salvatore e Giuseppe De Luca, Salvatore Cappa e Salvatore Curcio. Frontera è stato arrestato però solo per l'emissione di false fatture, con l'aggravante di aver agito con finalità mafiose, assieme alla moglie, Aleksandra Dobricanovic, e al prestanome, Carlo Scarriglia: tramite la Edil Sistem, avrebbe realizzato consistenti provviste di denaro contante per la cosca, lucrando ingenti crediti Iva. Frontera è già stato condannato in via definitiva a Reggio Calabria come appartenente all'ndrangheta e a Bologna in primo grado per false fatturazioni.
IL PENTITO - Ad indicarlo quale capo della cellula veneta è il pentito Angelo salvatore Cortese: «Era il filo conduttore tra Veneto e Calabria», ha raccontato, ma secondo il gip Vicinanza non ci sono adeguati riscontri, ed è per questo che non ha concesso alcuna misura cautelare per l'accusa di associazione per delinquere. Da un'inchiesta parallela, quella sui lavori per la caserma dei carabinieri di Dueville, emerge tra l'altro che a capo della cosca veneta vi sarebbe stato un altro soggetto, sempre operante nel Veronese, Giuseppe Giglio, a sua volta pentitosi.
IL GRUPPO DI CUTRO - A parlare di altri presunti affiliati all'ndragheta è sempre Cortese: «A San Bonifacio c'era un gruppo tutto di cutresi...» ha spiegato citando due nomi già emersi nelle indagini condotte dall'Antimafia di Catanzaro, quelli di Salvatore De Luca, dal 2004 a Monteforte D'Alpone, e di Domenico Multari, residente a Zimella, sempre nel Veronese, indicati dalla polizia come affiliati alla cosca Grandi Aracri.
USURA E MINACCE - A denunciare di essere stato oggetto di prestiti a tassi usurai è l'imprenditore Santo Tirotta il quale ha riferito una serie di episodi, avvenuti in parte a San Bonifacio, per i quali sono finiti sotto inchiesta Salvatore Cappa e Francesco Giovanni Giuseppe Crisi. Il gip Vicinanza riconosce la gravità indiziaria, in particolare per i reati contestati a Crisi, ma non ha ritenuto di far finire in carcere gli indagati per il troppo tempo trascorso dai fatti. Le indagini proseguono per cercare di ricostruire tutti i legami tra personaggi operanti in Veneto e la cosca Grande Aracri.
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