IL CASO
VENEZIA Dopo la gioia, la grande delusione. Dopo quasi trenta chilometri

Domenica 19 Novembre 2017
IL CASO
VENEZIA Dopo la gioia, la grande delusione. Dopo quasi trenta chilometri di marcia in tre giorni, dopo le notti all'addiaccio, dopo le ore trascorse su un argine del Brenta per contestare l'accoglienza in una base militare, quando sono scesi dal pullman hanno visto che la loro nuova destinazione era l'ex caserma Serena di Treviso. Tanto rumore e tanta fatica per tornare alle stesse condizioni di prima. Così, trenta migranti tra quei 241 in fuga da Cona hanno rifiutato la loro nuova destinazione: 24 sono stati redistribuiti in altre tre strutture, sei sono fuggiti per tornare alla loro situazione provvisoria, a Mira, chiedendo di essere riportati alla base della discordia. Niente da fare: ormai per rientrare serve una nuova autorizzazione della prefettura.
LA FUGA
I sei richiedenti asilo fuggiti in serata sono stati riportati nella Marca ma in altre strutture. Oltre ai sei trevigiani, anche i 14 portati a Jesolo, alla Croce rossa, avevano tentato di fuggire per la frustrazione. Si aspettavano delle case, ma quando si sono trovati di fronte a un'altra struttura per l'accoglienza di massa, le gambe già provate dalle fatiche dell'ultima settimana li hanno fatti cadere definitivamente in ginocchio. Alla fine, però, si tratta di una minoranza: agli altri, c'è da dire, è andata meglio. La grande fuga, la marcia della libertà, come sono state ribattezzate le quattro giornate di cammino dei migranti partiti dalla base di Cona per raggiungere Venezia, hanno lasciato un segno. E nell'ex base militare c'è già chi pensa a replicare la manifestazione visto che chi ha aderito, in un modo o nell'altro, è riuscito a cambiare il proprio destino.
I NUMERI
Facciamo un po' di ordine. In 241 hanno lasciato Conetta (242, se contiamo anche Salif Traorè, il 35enne ivoriano travolto e ucciso da un'auto mentre stava raggiungendo il corteo accampato in chiesa a Codevigo per trascorrere la notte) e nessuno di loro tornerà. Venerdì mattina, dalle cinque strutture di Mira offerte dal patriarcato di Venezia, sono partiti gli autobus per portare i migranti ribelli alle loro nuove destinazioni. Non tutti, a dire il vero: si è trovato il posto, in varie strutture del Veneto, solo per 222. I 19 appiedati, quindi, sono rimasti nella struttura di accoglienza temporanea a Gambarare di Mira. «Lunedì in ogni caso partiranno anche loro», assicura il primo cittadino rivierasco, Marco Dori. Tra i 222, 61 sono rimasti nel Veneziano, redistribuiti in sette strutture tra i comuni di Venezia, San Michele al Tagliamento, Jesolo, Mira, Santa Maria di Sala e Camponogara.
I RIFIUTI
In due situazioni, però, i migranti si sono sentiti punto e a capo. A Jesolo, infatti, i 14 destinati alla sede in capo alla Croce rossa, hanno fatto resistenza fino all'ultimo, per poi accettare anche se a malincuore. A Treviso ne sono arrivati 30 all'ex caserma Serena. Nessuno ci è rimasto: sei di loro sono fuggiti, tornando in Riviera del Brenta, e in serata, sono stati ritrasferiti nella Marca in strutture alternative. Gli altri 24 sono stati ripartiti tra il Ferrhotel, degli appartamenti in zona Stiore e in un'altra piccola struttura lungo la Noalese.
MOVIMENTI
«Cona non è un lager - spiega il prefetto di Venezia Carlo Boffi - ha una superficie di 210 metri quadrati di spazi esterni e 13 mila al coperto. Se qualcuno vorrebbe già tornare un motivo ci sarà. Il problema è che sono stati illusi da qualcuno, l'ex base non sarà un hotel a tre stelle ma non è neanche una prigione: ci sono attività di lingua italiana e corsi vari, certo che se qualcuno non vuole ascoltare la lezione non si può certo obbligarlo». L'illusione, per il prefetto, arriverebbe dai sindacalisti di Usb, ormai riconosciuti come i rappresentanti delle istanze dei migranti. E non è un caso che gran parte di loro abbia voluto la tessera del sindacato.
LA TENSIONE
Ieri, a Conetta, si respirava un clima di tensione. Lunedì ci sarà un'assemblea all'interno dell'ex base missilistica di via Rottanova. «Se a loro è andata bene, perché non dovrebbe funzionare anche per noi?» Anche perché adesso, a Cona i fuoriusciti non potrebbero tornare neanche volendo: dopo tre notti fuori, i loro badge identificativi sono stati cancellati. «Il Governo deve capire che l'accoglienza non si può fare in una tendopoli ha detto ieri il sindaco di Cona, Alberto Panfilio - L'accoglienza diffusa è stata decisa attraverso l'accordo Stato-Regione. Se da due anni non funziona, non possiamo continuare a dire che sia quella la strada da perseguire. Per questo sarò sempre a favore di qualsiasi forma di protesta, se orientata a tutelare la dignità delle persone».
Davide Tamiello
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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