Cure sbagliate, morta per denutrizione

Domenica 25 Giugno 2017
Cure sbagliate, morta per denutrizione
«In sei mesi nessuna delle strutture ha applicato l'unico trattamento che le avrebbe salvato la vita, cioè la nutrizione parenterale, che io vanamente ho richiesto nell'ultimo periodo, dopo che mi ero informata. La mamma è morta per denutrizione, una morte orribile».
Manuela Carretta ha vinto una lunga battaglia portata avanti con sua sorella Bruna per «ottenere giustizia dopo la morte di mia mamma avvenuta nel 2011. E perchè non accada più». Il giudice Francesco Petrucco Toffolo del tribunale di Pordenone ha infatti condannato a 600mila euro di risarcimento l'ospedale Santa Maria degli Angeli, la casa di cura San Giorgio di Pordenone e la Rsa di Roveredo per la morte di Liliana Belfi, 76 anni, la sindachessa pasionaria che aveva saputo difendere i suoi Magredi e fermare la costruzione di un impianto di compostaggio sul sito tutelato.
Affidandosi a Ketty Tesolin di Giesse Risarcimento Danni, gruppo specializzato in responsabilità civile, le figlie Manuela e Bruna Caretta e il nipote Manlio si sono visti riconoscere il risarcimento per l'errata terapia da parte delle tre strutture dove la 76enne era stata ricoverata durante i suoi ultimi 6 mesi di vita. Decine di migliaia di euro, molti dei quali, però, se ne andranno per pagare periti e tecnici. Il primo ricovero della sindachessa era avvenuto nel settembre del 2010 nel reparto di medicina interna del Santa Maria degli Angeli a causa di un infarto intestinale, con conseguente intervento di resezione del tratto di intestino tenue; quindi ulteriori ricoveri anche alla Casa di cura San Giorgio. Ma il cibo non veniva assorbito dal breve tratto di intestino rimasto, con conseguenti, profonde carenze nutrizionali e un drastico calo ponderale. Nessuno ha ascoltato la richiesta di Manuela di far nutrire la mamma direttamente per via venosa; i medici continuarono a prescrivere la classica nutrizione orale. Così Franca Belfi era via via sprofondata in uno stato di denutrizione sempre più grave, «andando incontro a premorienza per carenze sanitarie, ossia per il mancato instaurarsi di un trattamento nutrizionale idoneo» si legge nelle conclusioni del consulente tecnico nominato dal giudice, sul cui parere si base la sentenza. Da qui la condanna al risarcimento dei parenti per le tre strutture sanitarie, compresa la Rsa di Roveredo, dove Liliana Belfi era arrivata già in gravi condizioni senza però che i medici ne disponessero il trasferimento in un ospedale.
«Questa sentenza mi ha fatto riacquistare la fiducia nelle istituzioni che avevo perduto durante i sei mesi di disumana agonia patita da mia madre e, spiritualmente, da noi familiari spiega la figlia Manuela : La sensazione che ho provato durante la sua malattia è stata di solitudine: nel richiedere un intervento curativo indicato per la sua patologia, nell'imbattersi nella mancanza di comunicazione tra reparti e tra ospedali, solitudine di una donna che aveva dato tanto alla comunità e che ora stava deperendo in un letto d'ospedale».
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